«James,
sei felice?»
«No;
rifatemi questa domanda il giorno in cui Miles Davis sarà in testa alla hit
parade»
James
Senese
Per
motivi troppo lunghi da spiegare ho fatto il servizio militare neanche
ventenne, come si usava negli anni '60.
Di
norma, dopo 1 mese passato in una caserma in centro Italia per il CAR
(centro addestramento reclute), venivi
mandato nella tua destinazione definitiva degli ultimi 11 mesi, di solito in
una ridente ghost town del Friuli.
Di
norma.
Io
invece passai il primo mese a Salerno, in una caserma senza acqua calda,
"per fortuna", appena fuori dal portone, c'era un barbiere che offriva questo
servizio per un paio di mille lire, che probabilmente spartiva ogni settimana
con il manutentore della Caserma. Rifiutai sempre quel compromesso, un mese
senza docce calde in fin dei conti era una passeggiata dopo intere Estati di
docce gelate in Zona A (per i non veneziani, lo stabilimento balneare del Lido
più accessibile all'epoca) .
Finito
il CAR avrei dovuto spostarmi a Nord, e infatti arrivai a Napoli, che per
l'appunto si trova a nord di Salerno.
La
caserma si trovava per l'esattezza a San Giorgio a Cremano, comune della periferia
orientale di Napoli, che ha dato i natali a Massimo Troisi e soprattutto ad Alighiero Noschese.
Alighiero Noschese nei panni del giornalista Mario Pastore |
Dei
tre mesi che ci passai scriverò un'altra volta (forse), adesso voglio
raccontarvi di qualcos’altro.
In
caserma c'erano ovviamente anche ragazzi delle zone vicine, alcuni proprio di Napoli, perciò quando il Sabato o la Domenica venivano assegnati i servizi, per lasciare andare a casa chi poteva, spesso
i "nordisti" si sacrificavano al posto loro.
Più
di una volta salvai il pranzo domenicale ad uno di questi ragazzi, in un paio
di casi alla stessa persona, che gonfio di riconoscenza mi promise una
cena a casa sua.
I tre mesi a Napoli stavano quasi finendo, quando il ragazzo in questione mi disse
che, se non avevo altri piani, avrei potuto cenare a casa sua quella sera.
Ci
venne a prendere un suo fratello con una FIAT non proprio fresca di salone, e ci
portò a velocità da rally (saltando ovviamente tutti i semafori) sotto il
palazzone dove abitava, a Secondigliano.
Il
mio commilitone si chiamava Gennaro Esposito, ed era un bignami di luoghi
comuni, a partire dal nome, perchè chiamarsi Gennaro Esposito ed essere
napoletano è come chiamarsi Dumbo e fare l'elefante.
Il
tipo era chiaramente in sovrappeso, aveva una flemma disarmante, parlava
Italiano con un fortissimo accento Napoletano, o forse sarebbe meglio dire che parlava
Napoletano con un lieve accento Italiano. Cercava di imboscarsi tutto il
giorno. Non so se nel portafoglio avesse il santino di San Gennaro, ma
onestamente non mi sarei aspettato niente di diverso.
Ma
appunto, seguendo tutti gli stereotipi del "napoletano", Gennaro era
simpaticissimo, e ogni volta che mi chiedeva un piacere non sapevo dirgli
di no. Perciò, spesso e volentieri, finivo per fare i suoi turni.
Gennaro
abitava in uno di quei condomini giganteschi che avevano fatto la fortuna dei
palazzinari negli anni '60.
Salii
a casa sua con ancora il rosso dei semafori negli occhi, la sala da
pranzo dove ci aspettava la sua famiglia, nonno compreso, non era un esempio di
sobrietà. Alle mie spalle, da una TV grossa come un baule, usciva il TG 1 ad un
volume da stadio, dopo qualche minuto fortunatamente qualcuno pensò bene di spegnerla.
La
madre di Gennaro mi portò un piatto di spaghetti al pomodoro della dimensione
di un pallone da basket.
Mi
chiese se mia madre fosse preoccupata per me, io le dissi che purtroppo era
morta due anni prima, lei si rabbui per
un attimo e poi mi disse qualcosa tipo "Tua mamma è assieme alla Maronna, e
pensa sempre a te" io avrei voluto spiegarle delle difficoltà di comunicazione che avevo con il
Padre Eterno & C, dell'imbarazzante malinteso di un paio di anni prima alla
Chiesa Dei Miracoli, ma davanti a quel piatto fumante avrei confessato anche di
essere il cassiere della banda della Magliana, perciò mi limitai ad annuire
silenzioso.
La
serata passò liscia, ma fu al momento di andarmene che vidi "quella cosa" per la prima
volta. Molti me ne avevano parlato, ma sembrava una specie di leggenda
metropolitana, Big Foot o cose del genere, invece ebbi la prova della sua
esistenza.
Ferma,
orizzontale, sopra la gigantesca TV, scorsi una gondola di plastica, ebbi
un attimo di esitazione, che per fortuna nessuno colse, e me ne tornai in
caserma, sempre nella FIAT scassata, con quell'immagine impressa nella mente.
Dopo
quella sera io e Gennaro tornammo ad ignorarci con rispetto, ogni tanto mi portava i saluti della
madre, che ricambiavo.
Finiti
i tre mesi fui mandato al Nord, per la precisione a Portogruaro, per l'occasione simpaticamente
ribatezzata Mortogruaro, non vidi più Gennaro, credo rimase in Campania.
Anni
dopo, a casa di un amico, tra le decine dei suoi LP, ne trovai uno con un titolo
curioso: "Napoli Centrale".
Mi disse: "Tu
hai fatto il militare a Napoli, giusto? Allora dovresti ascoltarlo" e, dopo averlo estratto con cura dalla busta, lo
mise sul piatto.
Copertina del disco d'esordio di "Napoli Centrale", 1975 |
La
copertina è già un capolavoro, una foto rubata di un gruppetto di persone,
quattro adulti e due bambini, presi di spalle mentre camminano su di una strada
di campagna desolante.
Ma
la è la prima canzone che spacca, per davvero, il mio amico alza il volume ad
un livello quasi insostenibile, Mark Harris (collaboratore poi di De Andrè)
suona le tastiere come se avesse il Fuoco di San Antonio, la batteria di Franco
del Prete, coautore delle canzoni, sembra colpita da una pioggia di meteoriti,
mentre James Senese alterna il sax alla sua voce ruvida.
Il
testo è tutto un programma, immerso negli anni '70, la campagna descritta è ben
lontana da quella immaginata dall'accademia dell'Arcadia a fine '600, e forse lo è ancora
di più dalla campagna a chilometro zero di questi anni.
Campagna, campagna
comme è bella 'a campagna
ma è cchiù bella pe' 'o padrone
ca se enghie 'e sacche d'oro
e 'a padrona sua signora
ca si 'ngrassa sempre cchiù
ma chi zappa chesta terra
pe' nu muorz' 'e pane niro
ca 'a campagna si ritrova
d'acqua strutt' e culo rutto
Campagna, campagna
comme è bella 'a campagna
James
Senese, con quel nome che sembra inventato, è un gigante che doma la sua rabbia
attraverso il sax, e ci regala un disco breve ed intenso, che come si legge su
Wikipedia "ha i colori tipici della napoletanità più marcata e tali da
creare un mix di Jazz-Rock-Prog unico nel panorama della musica italiana degli
anni settanta", non ho idea di cosa voglia dire, ma vi assicuro che anche
adesso, quando salta fuori dall'ascolto casuale sul mio iPod, mi fermo, inizio
a battere il tempo con la gamba mentre i pantaloni diventano a zampa
d'elefante e la chioma afro di James mi cresce in testa.
E
poi mi viene in mente San Giorgio a Cremano, Secondigliano e il buon Gennaro.
Ogni
tanto ho pensato di rintracciarlo, magari attraverso FaceBook, ma avete
presente quanti cazzo di Gennaro Esposito ci sono? Io ho provato a contarli, ma mi sono addormentato sulla tastiera del mio Mac.
Non
che avrei molto da dirgli, però vorrei sapere adesso, con le TV a schermo
piatto, che fine ha fatto la gondola di plastica.
Nessun commento:
Posta un commento