mercoledì 22 aprile 2015

Catarì

Catarì!…Che buo’ cchiù? 
Ntiénneme, core mio! 
Marzo, tu ‘o ssaie, si’ tu, 
e st’ auciello songo io.

Catarì - Salvatore di Giacomo

I numerosissimi lettori che seguono questo blog sanno da un mio post precedente, che ho abitato a Napoli per circa 3 mesi, abitato non è il temine più corretto, diciamo che essendo la mia casa una caserma, ho vissuto Napoli durante le libere uscite e durante i (pochi) weekend nei quali non ero di servizio.

Ci sono tornato dopo vent'anni, mentre con mia figlia risalivo l'Italia, dalla Puglia a Venezia, passando per Matera, Pompei (cioè Napoli appunto) e Roma. L'idea era quella di farle vedere parte di quelle meraviglie che spesso ci dimentichiamo di avere (come Matera) o che si stanno disintegrando (Pompei). Anche oggi ogni tanto mi parla di quel cane che ci portò fuori dal labirinto delle viuzze di Matera, o delle fontane dentro ai ruderi di Pompei, ad anni di distanza se ne ricorda ancora, direi che la missione è stata un successo.

La zona appena fuori la stazione di Napoli è, per usare un eufemismo, vivace, a vent'anni di distanza è cambiato tutto, ma in fondo non è cambiato nulla. Adesso ci sono negozi di cianfrusaglie gestiti da cinesi o da nigeriani vicino ai soliti panifici che sfornano panzerotti e pizze di continuo, non ho visto gli "scatolettari", come quelli che estorsero centomila lire ai due miei commilitoni (no, i due non hanno mai vinto il premio Nobel), però dopo cinque minuti un signore napoletano  mi ha offerto un "aifon" nuovo di zecca, che io gentilmente ho rifiutato.

Quello che mi colpisce, anche fisicamente, è il rumore impressionante che ci circonda, frutto di decine di motorini, clacson di macchine, musica a tutto volume dei bancarellari e, per non farci mancare nulla, i martelli pneumatici degli operai che stanno rifacendo il piazzale.

Arrivando da Matera il rumore sembra ancora più assordante, e anche nei miei ricordi di militare, i decibel erano nettamente più bassi. Anzi, il ricordo più nitido che ho dei miei pomeriggi passati a camminare per Napoli è il silenzio che circondava alcune zone del centro, una in particolare incontrata durante una Domenica in libera uscita, qaundo avevo deciso di andare al centro da solo e di perdermi un po' tra vicoli meno battuti. In fin dei conti avevo attraversato in bicicletta il downtown di Los Angeles un paio di anni prima, tanto peggio non poteva essere.
Sono gli anni del Napoli di Maradona, e quando qualcuno anche adesso sostiene che Diego Armando era una divinità non posso che confermare, non perché ho visto una puntata di "Sfide", oppure il film di Kusturica (tra l'altro perfettamente a suo agio nel raccontare un pazzo come lui) ma perché ho visto con i miei occhi come un ragazzo di Buenos Aires fosse diventato il dio-re di un'intera città.

Quella domenica giro per Napoli senza una meta precisa, attraverso un vicolo, vuoto e  silenzioso, addobbato con decine di gagliardetti col faccione di Diego Armando e mi trovo davanti ad un capitello costruito attorno alla foto del numero 10 argentino. Quella strada era diventata una specie di santuario in onore di Maradona, una chiesa a cielo aperto e proprio come una chiesa, silenziosa, questo silenzio mi turbava, sembrava irreale, insolito anche per la Napoli che conoscevo.
Poi da lontano inizio a sentire un rumore indistinto, sembra quasi come uno sciame d'api, più si avvicina e più diventa rumoroso, guardo il capitello con la foto di Maradona un'ultima volta prima che decine di motorini inizino a sfrecciarmi a pochi centimetri dai piedi. A bordo ragazzini con sciarpe bianco azzurre legate ai polsi, bandiere dello stesso colore.
Tornano dallo stadio, la messa è finita, Maradona e il suo Napoli hanno vinto, e l'incantesimo silenzioso di quel santuario pagano è spezzato.
Non vedrò mai più una strada di Napoli così silenziosa, ma è quello il ricordo più limpido che ho di quei tre mesi passati in uniforme.

Anni fa mi è capitato di vedere il film che Turturro ha girato a Napoli, più che un film un documentario sulla musica napoletana. Nonostante i produttori abbiano cercato di spacciarlo per una specie di "Buena Vista Social Club" in salsa partenopea, il confronto non regge. Turturro, per quanto lo si possa amare, non è certo Wim Wenders, e soprattutto al film manca la meravigliosa parabola di quei musicisti cubani, quella storia da "underdogs", da perdenti di successo, salvati dall'oblio un attimo prima di sparire per sempre, che rende la pellicola di Wenders una favola (amara) a lieto fine.
Certo, nel film di Turturro ci sono squarci di poesia straordinari, come quando i tre fratelli Esposito, produttori musicali da tre generazioni, disquisiscono proprio modo se davvero Caruso fosse stato il più grande interprete della musica napoletana, oppure quando James Senese si commuove parlando della sua infanzia di bastardo mulatto nella Napoli del dopo guerra.
Il documentario alla fine però è poco più di un collage di video musicali con Napoli come filo conduttore e ritratta, questo è vero, con una grazia ed un rispetto unico.
Quando uscì "Lisbon story", sempre di Wim Wenders, rimasi incantato, come molti altri, dalla musica dei Madredeus, e dalla voce della loro bellissima cantante Teresa Salgueiro. Quella è un'altra storia, però il gruppo portoghese mi sono tornati in mente quando ad un certo punto nel film "Passione", un signore, accompagnato solamente dalla sua chitarra inizia a cantare un brano straordinario. Fausto Cigliano, una vecchia gloria della musica napoletana ora quasi dimenticato, canta, all'interno del complesso del Pio Monte della Misericordia, "Catari", un brano composto a fine ottocento etratto dalla poesia "Marzo" di Salvatore di Giacomo, nei versi l'innamorato si paragona ad un passerotto bagnato, in balia dei capricci meteorologici di Marzo, ovvero la sua amata.
Turturro riempie la musica con le inquadrature delle sette opere della Misericordia, dipinte dal Caravaggio, mentre Cigliano tocca con grazie le corde della chitarra, nemmeno suonasse con il piede sinistro di Maradona, e canta con voce fuori moda "N'auciello freddigliuso/aspetta ch'esce o sole,/ncopp' 'o tterreno nfuso/suspirano 'e viole...".
Certo, parole non all'altezza dell'immortale strofa "chiamami 'n coppa o cellulare" del neo melodico anni '90 Franco Moreno, ma va bene così.".

Ecco, sapere che certi posti ( e certa musica) esistono e sono Napoli mi rincuora, me ne ricordo mentre scendo dal treno e veniamo storditi da quel muro del suono che ci accoglie in tutta la sua potenza.

La sera il rumore si quieta un po', camminiamo per i vicoli quasi deserti, non lo dico a mia figlia, ma spero di imbattermi nel capitello di Maradona, per confrontarne il silenzio e la magia, sarebbe così più facile spiegare a mia figlia che cosa era la mano (sinistra) di Dio.

Per capire i capricci di Marzo, temo non le servirà il mio aiuto.




domenica 5 aprile 2015

Io mammate e tu

"Michelangelo, telefono per tu!" 
"E chi è?" 
"È Carlito"   

Io mammate e tu - Karl Zéro and Eric Laugérias 



Qualche giorno fa l'azienda per la quale lavoro mi ha dato il benservito, diciamo che la storia sarebbe un po' più complessa da spiegare, ma in buona sostanza le cose sono andate così, con il tipo davanti a me che mi spiegava di come il mio stipendio fosse diventato la zavorra che impediva alla mongolfiera/azienda di solcare i cieli del libero mercato. Mentre mi parlava di tasse, Jobs act e imprenditori tartassati, mi sentivo come Keanu Reeves quando "vede" il Matrix e si muove così velocemente da sembrare lentissimo, la realtà intorno a me perdeva i contorni mentre io mi immaginavo questa mongolfiera  libera dal peso del mio stipendio, finalmente in grado di riprendere a volare. 

Il mio primo pensiero, una volta ritornato in me, è stato che, avessi saputo di avere uno stipendio così pesante, mi sarei comperato una Bentley per parcheggiarla in fondamenta sotto casa mia e non mi sarei limitato a pagare l'affitto e le bollette in ritardo. Il secondo pensiero è stato più etereo e filosofico, cioè mi sono detto: "È mò, che cazzo faccio?". Tornato a casa ho recuperato il floppy disk dove si trovava il mio curriculum, giusto per far capire quanto tempo era passato dal mio ultimo aggiornamento, e ho iniziato a leggerlo. A parte il censimento dei piccioni di Venezia, mio cavallo di battaglia, come i numerosi lettori di questo blog sapranno (vedi "Face a la mer"), il resto era di una desolazione da film post atomico, 20 anni o giù di lì riassunti in un paio di paginette  scarse. 

A vederle non mi sarei assunto nemmeno io, e io mi voglio pure  discretamente bene. Ma per uno come me, che ha visto ben di peggio (tipo Gresko nella fascia sinistra dell'Inter di Cuper, oppure l'ultima puntata di "Lost", con tanto di duello sulla scogliera a picco sul mare), la lettura della mia triste vita (ex) lavorativa non mi è sembrato un motivo sufficiente per abbattermi, semplicemente non si può, lo sappiamo tutti che quasi sempre le bollette vincono sui sogni. Non mi sono perso d'animo e mi sono concentrato, pensando quale potesse essere il lavoro che davvero avrei voluto fare. Escluso il calciatore e l'astronauta, per raggiunti limiti d'età, e il pensionato, per non avere raggiunto quel limite d'età, ho capito che avrei dovuto ridimensionare i miei sogni, e passare alla quarta posizione, trovandomi davanti al vuoto assoluto, senza neppure poter chiedere l'aiuto del pubblico in sala o poter fare una telefonata a casa. Poi mi sono detto che, almeno in questa fase del tutto teorica, i miei sogni avrebbero vinto. 
Dopo qualche minuto, o forse ora, ho deciso che uno dei lavori che mi sarebbe piaciuto fare è quello di selezionatore di  musica per le serie TV, pescare cioè a man bassa nella mia collezione di 15.000 pezzi tra CD e vinili (in realtà sono un decimo, ma almeno nei sogni, fatemi fare vivere alla grande) per trovare qualche chicca da piazzare nelle varie produzioni televisive. Figure professionali del genere esistono, e ci hanno regalato momenti indimenticabili, come la già citata "How to fight loneliness" dei Wilco in "How I met your mother", oppure l'incredibile scena nella quale Gale, l'apprendista chimico di "Breaking bad", mentre annaffia le piante di casa, canta per circa un minuto "Crapa pelada" (Crapa Pelada la fà i turtei, ghe ne dà minga ai sò fradei. I sò fradei fan la fritada. ghe ne dan minga a Crapa Pelada. Oh! Oh! Oh! Oh) del Quartetto Cetra. Sempre nel a bellissima serie "Breaking bad" ho scoperto, grazie a "Magic arrow", i "Timber Timbre", una band canadese dal suono particolare, che Wikipedia definisce "freak folk", e soprattutto dal cantante con una capigliatura riportata inguardabile.
 

La cura delle colonne sonore delle serie TV americane però non è cosa recente, da sempre c'è un'attenzione particolare alla musica che accompagna le parti filmate. Una delle prime volte che ne ho capito il potenziale è stato durante la puntata "Improbable" di X-Files, una di quelle puntate un po' bizzarre, slegate dalla trama orizzontale del complotto e degli alieni, nella quale appare addirittura Burt Reynolds come special guest. 
A più riprese, durante quella puntata sento dei brani che mi suonano famigliari, ma cantati in modo leggermente diverso, quasi beffardo. Dopo qualche ricerca online scopro chi è l'autore, chiedo al mio pusher abituale di CD che mi congeda con un secco "mai sentio" (mai sentito, ndr), e allora in un momento di lucida follia ordino il CD da un negozio francese online. Francese, perché il disco in questione è "Songs for Cabriolets and Otros Tipos de Vehiculos", di tale Karl Zéro, aka Marc Tellenne, un cantante/presentatore/comico francese dal passato punk, una personalità dissacrante della TV francese, una specie di Luttazzi d'oltralpe, già disegnatore di fumetti per il leggendario Metal Hurlant e per l'oggi mestamente famoso Charlie Hebdo.


Il disco è fatto esclusivamente di cover di canzoni europee degli anni '50 e '60, arrangiate in modo ruffiano, simili agli originali ma abbastanza diversi da farsi notare. Karl Zéro canta in francese, ma anche (con un accento mostruosamente francese) in spagnolo, greco, inglese e ovviamente in italiano/napoletano, visto che si cimenta in alcuni classici di Carosone.

Il pezzo più straordinario  è "Io mammate e tu" cantata in duetto con tale Eric Laugérias e rivisitato in chiave omosessuale, dove i due innamorati non sono un ragazzo e una ragazza, ma due giovanotti di nome Michelangelo e Carlito, un colpo di genio di Karl Zéro, con il testo uguale all'originale, con San Gennaro e tutto il resto, ma con qualche parolaccia che Carosone non avrebbe mai pronunciata (tipo uno "stronzo" con una zeta che più francese non si può). Come sia arrivato alle orecchie di Chris Carter, lo storico creatore di X-Files, resta un mistero, però sembra che la puntata sia costruita attorno alle canzoni di questo CD, vero protagonista con ben otto pezzi. Chissà se Karl Zéro gli manda gli auguri a Natale. 

Adesso che tutto si scarica sembra più facile, però quando si ha accesso a milioni di pezzi, una guida serve ancora di più, ed ecco che entra in gioco Il Poltronauta, per preventivi sapete come contattarmi. Come s'intitolava lo struggente documentario su Joe Strummer, "The future is unwritten", intanto aspetto, e pesco un po' a casaccio nel muro del suono che sta difronte alla mia poltrona,  e mi dipingo addosso le colonne sonore per queste mie giornate di riflessione.

Guardando le mongolfiere che solcano il cielo.