domenica 23 novembre 2014

Musica # 25 - Ederlezi


Sa me amala oro khelena 
Oro khelena, dive kerena
Sa o Roma daje 
Sa o Roma babo babo 
Sa o Roma o daje 
Sa o Roma babo babo
Ederlezi, Ederlezi 
Sa o Roma daje

Ederlezi

Con il rischio di apparire blasfemo, sono convinto che prima o poi il momento "Schlinder's list" capiti a tutti, mi riferisco alla scena nella quale Liam Neeson, verso la fine del film, elenca piangendo i sacrifici non fatti che avrebbero salvato altre vite, si dispera per i soldi spesi male (senza però ricordarsi di aver salvato un migliaio di persone e le loro future generazioni).

I miei momenti "Schindler's list" sono, fortunatamente, più leggeri, legati ad una situazione finanziaria non proprio florida. Ultimamente penso a tutti soldi che ho avuto e che ho speso in cose inutili come i dischi, ma il vantaggio di non aver mai avuto molti soldi è che difficilmente riesci a sprecarli.

Pensando ai miei CD e dischi, tutto sommato lo "spreco" è minimo, pari se non inferiore all'importo speso da un fumatore quarantenne, neanche troppo incallito, in tutta la sua vita, oppure ai soldi spesi da un automobilista medio in 10 anni tra assicurazione e benzina.

Fino a quando è rimasto aperto, il mio negozio di musica di riferimento si trovava a Venezia, in campo San Barnaba.

Forse 12 metri quadrati scarsi riempiti di dischi. Nei miei primi anni di frequentazione il negozio era gestito da due tipi, affabili ed espressivi come una coppia di Moai (le Statue dell'Isola di Pasqua, ndr), come nel romanzo "Hi Fidelity", trattavano i clienti (96% uomini) con mal celata insofferenza e con una sprezzante superiorità. Anche se gli affari però andavano a gonfie vele, ad un certo punto uno dei due soci lasciò il negozio per un'altra avventura commerciale, evidentemente la convivenza in quei 12 metri quadrati era diventata impossibile.

Con una costante presenza ed un obolo almeno settimanale, riuscii ad entrare nelle grazie del socio sopravvissuto, passavo mediamente un ora a settimana in quel negozio, e un paio di volte riuscii anche a vederlo sorridere.

Quando in negozio entravano turisti o clienti occasionali il tipo dava il meglio di se stesso, di solito si trattava di americani che ingenuamente chiedevano: "Do you have Andrea Bocelli?", lui li guardava con disprezzo e diceva che non vendeva musica italiana, oppure qualche ignaro veneziano entrava e chiedeva il disco che andava per la maggiore al momento e che vendeva copie a palate (tipo quello dei Lunapop), ricevendo sempre un "No, quel tipo di musica non la teniamo".

Ma le scene migliori si potevano vedere il Venerdì verso le 5 del pomeriggio, quando il corriere portava il pacco con le uscite della settimana. Di solito un gruppetto di ultra trentenni, tutti arrivati al negozio in modo autonomo almeno da un'ora, giravano in circolo davanti alla vetrina come gli zombi (lenti) dei film di Romero, in attesa del nuovo di Tom Petty oppure di quello di Bruce Springsteen, poi quando il proprietario apriva lo scatolone si avvicinavano in silenzio verso la porta d'entrata, dal numero di bestemmie si poteva capire quanti CD ordinati non erano arrivati, e si sperava sempre che tra i dispersi non ci fosse il tuo. 
La punta più alta della sua ira venne raggiunta un Venerdì nel quale il corriere, per un errore incomprensibile,  gli consegnò un unico pacco, con circa 50 copie dello stesso CD, la raccolta delle hit musicali trasmesse durante il TG satirico  "Striscia la Notizia",  ovvero "Striscia la compilation vol. 6", quel giorno sentii per la prima volta le bestemmie palindrome.

Anni prima, dopo aver visto il film, mi ero rivolto a quel negozio per cercare la colonna sonora de "Il tempo dei Gitani".



Il film di Kusturica è uno dei motivi per il quale provo simpatia per gli Zingari, o per lo meno non provo antipatia (certo il film, ma anche  il fatto che non ci sia un campo nomadi in fondamenta dove abito aiuta). 
Ho sempre pensato che la cosa paradossale dell'odio nei confronti dei  Rom è che il successo di molti politici  (che per semplicità chiameremo di "destra") si basa sulla loro presenza, a partire dal ragazzotto con doppio mento e felpa verde che ultimamente sta recuperando decine di voti grazie a loro (e tra i suoi sostenitori c'è pure l'attuale fidanzato della mia ex coinquilina), se non ci fossero i nomadi molti dei sindaci dei paesi medio piccoli non sarebbero mai stati eletti.
Gli Zingari sono anche fonte di autostima di moltissimi Italiani, gli stessi che votano per le camicie verdi e quelle nere, se non ci fossero i Rom da disprezzare, s'accorgerebbero probabilmente che in giro non c'è persona peggiore di quella che vedono ogni mattina nello specchio del bagno.

"Il tempo dei Gitani"  racconta il viaggio di un ragazzo rom che dalla Jugoslavia, ormai orfana di Tito e ad un passo dalla guerra civile che la farà a pezzi, lo porterà in Italia, il tutto visto attraverso l'occhio sbilenco di Kusturica, che non fa sconti a nessuno, certo usa la settima arte per farci vedere un mondo magico e poetico, ma non ne nasconde le contraddizioni, i difetti e problemi.

La colonna sonora è curata dall'allora fido Bregovic, che ad un certo punto cala l'asso, quando partono le prime note di "Ederlezi" ti rendi conto di trovarti davanti ad un pezzo "buco nero", che inghiottisce tutto il resto della musica e ti lascia a bocca aperta. Non serve capire il testo (parla della festa di Primavera/ San Giorgio che, una volta l'anno, unisce tutti gli Zingari), la voce della cantante Macedone Vaska Jankovska è quella delle sirene che  cantano per Ulisse, chiudi gli occhi e ti lasci rapire.

Quando andai al negozio di dischi per chiedere la colonna sonora di quel film, c'era ancora la formazione a due, il tipo al quale chiesi il CD ovviamente non mi degnò di uno sguardo, l'altro, accennando una specie di sorriso, disse un semplice: "No".

Per capire però l'atmosfera che aleggiava in quel negozio nei momenti di gloria, chiudo con un episodio del quale fui testimone.
Di nuovo la formazione è quella a due, entra un ragazzo, ha la classica aria del fuoricorso, con tanto di barba incolta e cappotto di ordinanza, inizia a salmodiare le lodi della scena folk-progresive Canterbury, e della band di punta di quel movimento, i "Caravan", ad ogni frase ad effetto uno dei due commessi muove la testa in modo quasi impercettibile. Poi il ragazzo gli chiede se hanno il secondo disco della band, il tipo non lo guarda nemmeno più e dice un "no" che non lascia spazio a repliche, lo studente fuoricorso capisce che aria tira, batte in ritirata ed esce dal negozio.
L'altro commesso, rimasto fino a quel momento in silenzio dice "Ma Ciccio, guarda che il secondo disco dei Caravan ce l'abbiamo". 

Ciccio è immobile, con la sua solita espressione da Moai sta guardando un punto infinito oltre la vetrina, non si gira nemmeno e dice "Si, lo so, ma il tipo mi stava sul cazzo".



giovedì 13 novembre 2014

Musica # 24 - How To Fight Loneliness

And the first thing that you want 
Will be the last thing you ever need 
That's how you fight it

How To Fight Loneliness - Wilco


Mia figlia ogni tanto stacca gli occhi dall'iPad, si toglie le cuffiette della House of Marley (solamente da un orecchio,  sia chiaro) e mi dice se conosco questa band, o quest'altra.

Di solito sono seduto in poltrona (mica il blog si chiama "stradanauta"), e la risposta è spesso si, condita dalle solite frasi di circostanza da "Rickipedia" e seguita  quasi sempre da me che guardo Il Muro di CD che mi sta di fronte e dico "Prova a vedere, dovremmo pure avere un paio dei loro album".

Parte del Muro del Suono

Se non si rimette subito l'auricolare penzolante prendo un CD e lo faccio partire dall'inizio, ma si sa che la soglia d'attenzione dei teenagers è quella che è, e già dal secondo brano la vedo entrare nello schermo dell'Pad, e continuare la sua esplorazione.

Ogni tanto se ne esce con nomi sorprendenti, come i Duran Duran e gli A-ha (Si, li conosco. No, non ho loro dischi), o con commenti straordinati alle citazioni di "Rickipedia" ("Davvero i Rolling Stones hanno fatto più di 40 album, ma quanto vecchi sono?").

Se le chiedo come ha scoperto certe band la risposta è sempre la stessa: qualcuno nelle pagine/forum che frequenta ha fatto una lista, ripresa e allargata da qualcun altro e via così. Una specie di "6 gradi di separazione" che crea volumi di informazioni giganteschi, che finiscono per essere intaccati solamente in superficie.

Perchè ascoltiamo un certo tipo di musica rispetto ad un altro? 
Dopo anni di praticantato musicale, posso dire che è la curiosità, la voglia di conoscere che ti spinge a cercare nuove fonti d'ispirazione. Adesso tutto passa on line, ma prima (si, esisteva un'epoca pre internet) la musica girava grazie al passa parola, alle riviste specializzate, oppure bastava un padre amante della musica (Nat King Cole e gli Inti-Illimani nel mio caso) o meglio un fratello maggiore, e tutto era più facile.

Il mio primo lavoro aveva a che fare con l'Assessorato alla Gioventù (!?) del Comune di Venezia, per una cosa o per l'altra orbitavo attorno a quell'ufficio molto più di quanto avrei dovuto. 

Venni a sapere di una specie di mostra che si sarebbe dovuta tenere a Venezia in concomitanza con la Biennale d'Arte di quell'estate, ad organizzarla dei tipi legati alla ICA di Londra, l'idea era semplice e geniale: centinaia di artisti avevano creato delle mini opere divise a metà, ciascuna di 5 cm per 9 cm, la prima parte veniva distribuita gratuitamente per la città (un paio di edicole, forse una libreria, e ovviamente l'ufficio dell'Assessorato), mentre la seconda, che spesso era la firma dell'autore e che completava l'opera, poteva essere ritirata solamente allo stand che si trovava dentro le poste centrali, al Fontego dei Tedeschi, vicino a Rialto, in cambio di un obolo, 1.000 lire (giusto per capire quanto tempo è passato). 

La curatrice italiana era una monumentale testa di minchia, arrogante quanto incompetente, l'avevo osservata nelle settimane precedenti l'inaugurazione, oltre ad avere una gestione sportiva dei pochi fondi, la sua organizzazione faceva acqua da tutte le parti.

Così il primo giorno passai allo stand del Fontego dei Tedeschi, vestito da gufo, per vedere se tutto fosse a posto. Manco a dirlo uno dei ragazzi, uno studente biondo con i dread dell'Università di Nottingham, originario di Torino, non aveva un posto dove dormire.
Mio padre se n'era andato pochi mesi prima, a casa avevo un letto in più, ed  ospitare sconosciuti era una tradizione di famiglia, perciò Davide (il biondo torinese) rimase una settimana da me.

I volontari dello stand ruotavano, quando Davide tornò in Inghilterra al suo posto arrivò un tipo da Londra, di origini greche, nato Euphemius Tzetis, ma diventato Tim Jetis una volta arrivato in Australia.
Tim diventò mio fratello maggiore, rimase poco più di una settimana, e dopo quella volta riuscimmo a vederci quasi tutti gli anni, qui a Venezia, dove festeggiammo l'arrivo del 2000, oppure a Londra. 
Fino a quando non tornò a Sydney, dove pare che RyanAir non voli.

Tutti e due avevamo la passione per i libri, i fumetti e la musica, ogni volta che ci vedevamo ci scambiavamo consigli e impressioni,  di solito lui mi lasciava decine di CD, spesso con copertine personalizzate, di band a me sconosciute.
La sua ragazza dell'epoca (adesso sua moglie) si lamentava del fatto che la musica che ascoltava era sempre la stessa, Tim non provava nemmeno a spiegare le differenze, perchè certe cose, certe donne davvero non le capiscono.

I Wilco, ça va sans dire, li ho scoperti grazie a lui. Ecco, i Wilco sono il classico esempio di band che molte donne non capiscono (a dire il vero forse non sono tanti nemmeno gli uomini a capirli per davvero). 
Diciamo che l'ascoltatore medio di questa band di Chicago è un over 40 (checked) , con una discreta cultura musicale (checked), con una mediocre situazione sentimentale (checked, alla grandemagari musicista a tempo perso (questo mi manca) e che tiene i CD in ordine alfabetico (checked).
I Wilco pescano a mani piene nella tradizione musicale americana, dal Country Alternativo ai Beach Boys.  Sono tutti musicisti eccezionali, straordinari dal vivo, ma con un look da commesso di negozio di libri misto insegnate di storia casual, insomma a vederli sul palco sembrano più dei pendolari che una band a tutti gli effetti.


I Wilco (formazione parziale)

Però hanno fatto e continuano a fare dei dischi straordinari.
Quello regalato da Tim è "Summer teeth" (modo informale per descrivere un dei denti mesi male, ndr), probabilmente il loro lavoro migliore, ma anche quello meno fortunato dal punto di vista delle vendite. Va ascoltato qualche volta, alla fine non può che piacerti.

Fra tutte le canzoni ce n'è una che colpisce subito, è il brano numero 8, "How to Fight Loneliness", per anni ospite fisso dei vari CD mix che ho creato per i vari amici. Capisco non sia uno dei pezzi più allegri della storia, ma per quanto incredibile, spesso non era nemmeno il più triste nei miei mix.

Questa canzone l'ho sentita molte volte come sfondo musicale a scene di film e telefilm (allora vedete che non sono l'unico!), l'ultima poco tempo fa, alla fine di una tristissima puntata di "How I met your mother". Quando ho riconosciuto le prime note mi è venuto in mente Tim, e ho sorriso.

Quando pensi ad un amico lontano devi sorridere perché, lo dicono anche gli stessi Wilco, se ti manca una persona e ti senti solo, l'unico modo per combattere la solitudine, è sorridere sempre.


giovedì 6 novembre 2014

Musica # 23 - Nella mia ora di libertà





Ci hanno insegnato la meraviglia verso la gente che ruba il pane / ora 
sappiamo che è un delitto il non rubare quando si ha fame

Nella mia ora di libertà - Fabrizio De André


C'è un video che gira su YouTube, è un’intervista fatta sul palco della “All Things Digital D5”, da una parte tali Kara Swisher and Walt Mossberg a porre le domande, dall’altra Bill Gates e Steve Jobs a rispondere. 
Siamo a fine Maggio del 2007, Steve Jobs ha i soliti occhi penetranti e l'aria da rockstar, è ancora in forma, leggermente smagrito e con i capelli corti, ma niente di paragonabile a quello che diventerà un paio di anni dopo. 

Bill Gates ha la sua perenne faccia da nerd, lo sguardo del gatto sornione, ormai sa che non deve dimostrare più niente a nessuno. Il clima sul palco è rilassato, i due si conoscono da anni, e anche gli intervistatori sembrano a loro agio. Parlano delle origini delle loro aziende, del loro lungo rapporto di amicizia e di competizione.

Ad un certo punto Steve Jobs piazza la sua frase ad effetto, il suo classico “copia e incolla”, e dice qualcosa tipo “Penso che nella vita gran parte delle cose siano spiegabili con una canzone di  Bob Dylan o dei Beatles. Ma c’è una frase in quella canzone dei Beatles: "Io e te abbiamo ricordi più lunghi della strada che si sta davanti”, che chiaramente è vera in questo caso”.

Applauso del pubblico, emozione nei due conduttori, e occhi quasi lucidi da parte delle due star. Nessuno dei presenti in sala in quel momento, ad eccezione di Steve Jobs e Bill Gates probabilmente, lo sa,  ma quella frase non è la solita boutade, il prossimo slogan da stampare su qualche t-shirt, ma la verità.  A 4 anni da quell'incontro Steve Jobs, ormai ridotto ad uno scheletro, chiuderà gli occhi per sempre.

Credo anche io che ogni persona abbia delle canzoni-guida nella vita, che quasi tutto si trovi già spiegato nelle canzoni, i Beatles e Bob Dylan li conosco poco, nel mio caso i punti di riferimento sono le canzoni di Fabrizio De André, Paolo Conte e Bob Marley. Soprattutto quelle di De André, forse perché il fatto di essere nati nello stesso giorno (ad anni di distanza) per me è sempre stato un chiaro segno del destino.


Come spesso capitava ai ragazzini della mia generazione, la musica ti arrivava grazie alle cassette che qualche amico registrava (a te o a tua sorella maggiore),  io a forza di ascoltare “Volume 8” e “Non al denaro non all'amore né al cielo” avevo finito per imparare le canzoni a memoria prima di finire le scuole medie.

Un giorno, avrò avuto 12 anni, mi stavo vestendo in spogliatoio con alcuni dei miei compagni di calcio, che ovviamente cantavano a squarciagola le canzoni che ascoltavano in discoteca ogni domenica, io sovrappensiero iniziai a cantare “In un vortice di polvere gli altri vedevamo siccità, a me ricordava la gonna di Jenny…” (Il suonatore Jones, ndr), ricevendo in cambio un lancio di calzini e mutande usate.
Questo non bastò a fermarmi, o forse furono le canzoni di De André che non smisero di seguirmi, e quasi ogni momento della mia vita affioravano, a segnarmi la via, come quando passavo i pomeriggi col mio amico tossico e Come ti senti amico, amico fragile, se vuoi potrò occuparmi un'ora al mese di te diventava la mia silenziosa colonna sonora.


Riuscii finalmente a vedere un suo concerto, era la tournè che seguiva l'uscita di "Nuvole" e fu un concerto memorabile. Ci andai con quella che all'epoca era la mia ragazza, nemmeno sei mesi dopo mi lasciò, al solito cercai il sollievo nelle canzoni di De André.
Per quanto possa sembrare strano, non ce ne sono poi così tante di adatte ai cuori infranti, ma la scelta andò quasi subito alla meravigliosa "Giugno 73" e alla sua ottimistica frase Io mi dico è stato meglio lasciarci che non esserci mai incontrati.


Fabrizio de André con il figlio Cristiano


Un giorno sono nell'Agenzia di Viaggi nella quale lavoro, entra una ragazza per comperare un biglietto aereo, mentre lo sto compilando noto che è nata nello stesso mio giorno, in quel preciso istante dalla radio in sottofondo sento qualcuno che parla di un grave lutto nel mondo della musica, prima che dica il nome capisco che Fabrizio De André è morto.
"Lo sai che De André era nato lo stesso giorno nostro?"  dico alla ragazza che mi sta di fronte.
"No, non lo sapevo" e poi aggiunge, come per scusarsi "Sai, ascolto musica più moderna".
"Spero che tu finisca nel sedile in mezzo di una fila da tre, seduta tra 2 lottatori di sumo della Micronesia, di ritorno dai mondiali di aerofagia tenutosi a Francoforte, dove si sono classificati rispettivamente quinto e ottavo, e che a causa di una preparazione sbagliata abbiano raggiunto il top della condizione solamente il giorno dopo la fine del torneo, mentre ormai sono in aereo." lo penso e basta, invece le allungo il biglietto e le auguro buon viaggio.
Quel giorno è l'11 Gennaio 1999, quando torno a casa decido di affrontare "Crêuza de mä", avevo comperato il vinile dopo aver divorato il suo album precedente ("L'indiano" anche se in realtà non aveva titolo), l'avevo ascoltato 2 volte, di seguito, per poi metterlo via, dopo 15 anni mi reputo in grado di capirlo, e infatti realizzo che quel disco è un capolavoro, scusa il ritardo Faber.

Sono tornato a Genova qualche anno fa, con mia figlia, stavamo attraversando l'Italia usando i treni Regionali e Interregionali, da Ancona a Genga, poi Lucca via Perugia e infine lungo la costa Ligure, fino a Genova. Nomi di stazioni sconosciute si rincorrevano lungo il viaggio, fino a quando, all'ennesima fermata, dal finestrino del mio scompartimento vidi il cartello con il nome della stazione, Sant'Ilario. Mi si disegnò un sorriso sul volto e istintivamente cercai tra le persone che aspettavano sulla pensilina il commissario e il sagrestano ... con gli occhi rossi e il cappello in mano.

Genova è la più bella città del mondo, ad eccezione di Cannaregio e parte di Dorsoduro, che essendo sestieri (di Venezia) appartengono però ad una categoria diversa. Il giorno dopo il mio arrivo la giornata è splendida, l'aria è così tersa e cristallina, che se non fossi miope probabilmente riuscirei a vedere i capezzoli delle ragazze in topless sulle spiagge della Corsica. 
Con mia figlia attraverso la città vecchia, tra panifici e ferramenta a due passi dal palazzo Ducale, mignotte sudamericane inguardabili e trans stagionate, che sembrano impiegati delle poste in età pensionabile con una parrucca, punto alla madre di tutte le strade della Genova cantata da De André, via del Campo, e quando la raggiungo l'attraverso tutta di un fiato.
Non ho idea di come fosse cinquanta anni prima, adesso è come dovrebbe essere una strada di una città di mare, piena di gente che difficilmente troverebbe spazio nelle fiction di RAI 1, colori e lingue diverse, negozi improbabili uno a fianco dell'altro, un equilibrio precario che sembra funzionare, l'incubo di ogni elettore di Fratelli d'Italia e della Lega.

Via del Campo è per me così ricca di emozioni che la percorro due volte, ed è al ritorno che scopro una scritta sul muro, con tanto di refuso corretto, l'unico graffito da salvare se mai qualcuno decidesse di ripulire i muri di questa città. Mentre leggo quella frase inizio a piangere, è l'ultima emozione di quella mattina, la goccia che fa traboccare il vaso delle mie lacrime che, senza che me ne renda conto, iniziano a solcarmi le guance, e capisco che il mio amore per De André e la sua città non finirà mai.


La scritta sul muro lungo Via del Campo


E dopo essere sopravvissuto alle varie serate a lui (loro) dedicate da Fabio Fazio, e a citazioni a sproposito fatte da un illustre ligure con la barba, posso dire che non mi sbagliavo.

In questi ultimi mesi, durante i quali la vita ha iniziato a prendermi a pugni in faccia, e ho dovuto cancellare e cercare di riscrivere parte del mio futuro, spesso in mente mi è rimbalzata una frase de "La cattiva strada": la colpa è di chi muore, convinto che anche nel mio caso, alla fine, la colpa fosse (anche) di chi subisce, di chi perde.

Bene, avviso ai naviganti, non sono morto e non ho intenzione di esserlo a breve. Ho pure trovato una canzone perfetta per il mio stato attuale, non si offenda il caro vecchio Faber, ma non è una delle sue, l'autore questa volta è Marco Masini.

La canzone è una delle sue più famose, dal titolo che però, per questioni di eleganza, evito di scrivere qui.