mercoledì 15 luglio 2015

Hurt

I hurt myself today
To see if I still feel
I focus on the pain
The only thing that's real
The needle tears a hole
The old familiar sting
Try to kill it all away
But I remember everything

Hurt - Nice Inch Nails

Quando incontrai Derek e Lauren per la prima volta avevano entrambi poco più di 20 anni, erano venuti in Italia per un semestre all'Università di Padova, poi si erano fermati qualche mese i più a Venezia perché Derek doveva fare uno stage presso il Comune di Venezia, Assessorato alla Gioventù.
Per un californiano come lui credo fosse un'esperienza metafisica, fatta di obiettori di coscienza addetti alle fotocopie, uscieri analfabeti e impiegati annebbiati da anni di burocrazia italiana.
Ad aggiungere intensità alla sua permanenza a Venezia, gli ero capitato io come collega, chiusi per ore in un chioschetto per le informazioni alla Stazione ferroviaria di Santa Lucia.
Come coppia erano perfetti, bellissimi tutti e due, colti e intelligenti. Sono stati i primi i hipster che abbia incontrato, prima ancora che il termine diventasse di moda e successivamente di uso comune, non a caso tornati negli USA si trasferirono a Brooklyn, sempre prima che diventasse di moda, ed iniziarono a lavorare nel mondo dell'arte e del giornalismo.


In qualche modo rimanemmo in contatto, al punto che una primavera mi invitarono ad un barbecue nel giardino della loro casa di Brooklyn, c'erano molti invitati, quasi tutti venuti come coppie, ognuna delle quali doveva portare sei copie dello stesso "CD mix"  creato per l'occasione, i CD sarebbero stati mescolato e poi ogni coppia ne avrebbe ricevuti sei differenti l'uno dall'altro.
Come è facile intuire, per quanto mi possa considerare un bohémien, volare fino a New York per partecipare ad un barbecue, seppur così prestigioso, mi sembrò eccessivo, così preparai sei copie di un mio CD mix, stampai per ognuna una copertina originale e le mandai con la posta aerea.

Il barbecue fu un successo, e dopo un paio di mesi arrivarono le sei copie che mi spettavano, molte delle canzoni contenute mi erano totalmente sconosciute, altre più famigliari. Tra i sei, non so quanto casualmente, trovai anche quello preparato dai miei amici, un CD di sole cover intitolato per l'appunto "Take Cover", e con una copertina/custodia di stoffa, cucita e ricamata da Lauren.

Ed è grazie a questo CD che faccio il mio incontro con l'Uomo in Nero, sua maestà Johnny Cash, qui con la sua versione di "One" degli U2 (di gran lunga migliore dell'originale se lo chiedete a me).
Si tratta di un colpo d fulmine, e nel giro di due mesi recupero tutto quello che Johnny Cash aveva registrato con l'American Recordings di Rick Rubin, quattro dischi meravigliosi composti da brani originali e cover.

Ma a parte i suoi meriti artistici, è la figura dell'Uomo in Nero e la sua storia che mi rapiscono.
Nel 1993 Johnny Cash ha poco più di sessant'anni, è sulle scene da quasi quaranta, non è stato solamente una delle figure più carismatiche della musica Country, ma è stato anche attore (film western, of course) e ha avuto uno  show televisivo tutto suo. Arrestato una mezza dozzina di volte, anche se in carcere c'è stato solamente per fare dei memorabili concerti, è stato dipendente da anfetamine e dall'alcool, dopo essersi sposato giovanissimo (ed aver fatto 4 figli) si è risposato con Rose Carter, un’altra star di Nashville, che l'aveva preferito ad Elvis Presley, quando the King era l'uomo più bello e desiderato del mondo.

A partire dagli anni '80, l’industria della musica Country  aveva virato su forme molto più commerciali, iniziando a lanciare star giovani e sexy, soprattutto maschili. Davanti al nuovo che avanza (e che vende) Johnny Cash era stato costretto ad abdicare.
La riconoscenza  è merce rara, soprattutto in quel mondo, e lo ShowBiz, ora che ha smesso di vendere dischi, gli gira le spalle. Nel 1986 la Columbia lo scarica e lui approda alla Mercury, ma anche qui le cose non cambiano, i produttori lo mettono in un angolo, sfruttano la sua ombra per dare peso ad altri cantanti, Johnny Cash però continua a fare quello che sa fare meglio, cioè suonare in giro. Le sale sono sempre più piccole, il pubblico è quello dei nostalgici, ed è in occasione di un concerto in una di queste location minori che fa l'incontro con l’Uomo con la Barba, un incontro che cambierà la sua vita e sicuramente renderà migliore quella di molte altre persone.
Nel 1993 Rick Rubin, l’Uomo con la Barba, invece ha trent'anni, alle spalle circa una decina come produttore di band hip hop, punk e rock, del calibro dei Beastie Boys, degli Slayer e dei Red Hot Chili Peppers, insomma in apparenza niente più lontano del mondo Country conservatore di Nashville, ma Rubin vede in Johnny Cash la sua vera essenza, la sua natura di ribelle, e soprattutto la sua caratura artistica monumentale. Finito il concerto l'Uomo in Nero riceve la visita in camerino di questo ragazzo corpulento, con barba e capelli lunghi.


Parlano per 15 minuti, Rick Rubin semplicemente gli dice che vuole fare un disco con lui, Johnny Cash ride, ma capisce che ha davanti qualcuno che vuole far scoprire al mondo quello che la ristretta cerchia del Country aveva messo frettolosamente da parte.
Il primo disco viene registrato per undici tredicesimi nel soggiorno di casa Cash,  solamente chitarra e voce, ma pur sempre  la chitarra e soprattutto la voce di Johnny Cash. Che sia un disco "cool" lo si capisce anche dal fatto che gli altri due brani  sono registrati live al “Viper room", il club di Johnny Depp (lo stesso club dove poco dopo morirà un altro personaggio unico, River Phoenix). Uno di questi brani ("Tennessee stud") viene inserito nella colonna sonora di Jackie Brown da Quentin Tarantino, che in quanto a coolness non è secondo a nessuno.

Il primo disco della collaborazione con Rick Rubin ottiene buoni risultati di vendita, un successo trasversale, grazie anche al video "Dehlia's gone" mandato di continuo su MTV, e  vince un Grammy come migliore disco folk. Viene però totalmente ignorato dall'industria della musica Country, che si rifiuta di trasmetterlo attraverso i suoi potenti media, lo stesso capita con il secondo disco, che rivince un Grammy. Questa volta però come miglior album Country.
Per l'occasione Mr Cash rispolvera una sua vecchia foto e la fa pubblicare in decine di testate musicali per "ringraziare" l'aiuto di Nashville.


A noi che stiamo ai confini dell'impero, l'industria della musica Country non ci dice tanto, ma in quella parte di mondo è praticamente una macchina da guerra, un business che si autoalimenta, generando milioni di dollari di fatturato e decine di star(s), o presunte tali, come niente fosse.
Che poi il mondo del Country, fatte le debite proporzioni, non si differenzia tanto da quello dei neo melodici napoletani, fatto di un turnover infinito di piccole star(s), tutte alla ricerca di uno spicchio di sole.

Johnny Cash ha poco più di sessant'anni, il mondo del Country che anche lui aveva contribuito a creare l'ha dimenticato, ma non importa, oramai l'Uomo in Nero è patrimonio dell'umanità, è una leggenda, un monumento del quale si innamorano migliaia di teen agers.

Rick Rubin pesca tra i suoi amici e continua a proporgli brani sempre più lontani da quello che dovrebbe essere il suo repertorio. Johnny Cash prende queste canzoni, le assorbe, le fa proprie e le trasforma, dal già citato "One" a "I see a darkness" di Bonnie Prince, fino a brani dei Soundgarden, Depeche Mode, Tom Waits. In più i dischi iniziano ad arricchirsi di collaborazioni prestigiose, se la coppia Rubin/Cash chiama nessun è così pazzo da poter  dire di no.


Ma proprio quando il mondo è ai suoi piedi, la salute di Johnny Cash inizia a vacillare, nel 1997 gli viene diagnosticata una rara malattia neuro degenerativa, lui reagisce a suo modo, continuando a registrare appena riesce a tenere una chitarra in mano.

A fine 2002 esce "American IV: The Man Comes Around", che contiene forse la più bella canzone nata dalla collaborazione con Rubin, ovvero "Hurt", cover del brano di Trent Reznor, accompagnato da un video sontuoso. Johnny Cash la interpreta come se l'avesse scritta lui, e in fondo quel testo avrebbe potuto essere suo, perché quella disperazione autodistruttiva era stata davvero sua compagna per parte della vita.

Questo è l'ultimo disco che esce con Johnny Cash ancora in vita, il 13 Settembre 2003, pochi mesi dopo la sua amata moglie, l'Uomo in Nero esce di scena in modo definitivo.

Poco dopo viene pubblicata la raccolta con gli "scarti" delle registrazione di Rick Rubin, un cofanetto meraviglioso anche nel packaging (a proposito, grazie ancora Paolo e Dana per avermelo regalato) voluto dallo stesso Cash, che dimostra ancora una volta quanto Johnny Cash fosse immenso.

Così, dieci anni dopo quell'insolito incontro nel camerino di un teatro, il sodalizio tra Johnny Cash e Rick Rubin finisce. Un sodalizio grazie al quale migliaia di persone, me incluso, hanno scoperto un artista unico, un miracolo della natura. Perché quando l'Uomo in Nero incontra l'Uomo con la Barba, tutto può succedere, anche i miracoli.

Pazienza che mi ci sia voluto un barbecue a Brooklyn, al quale non ho partecipato, per vederlo.

venerdì 15 maggio 2015

L'estate sta finendo

L'estate sta finendo 

e un anno se ne va 
sto diventando grande 
lo sai che non mi va. 

L'estate sta finendo - Righeira

Quand'ero ragazzino ad un certo punto scoppiò la moda dei test, ne trovavi ovunque, nei rotocalchi, nei quotidiani e persino nei settimanali (mai nella Settimana Enigmistica però).
La Rai, sempre sul pezzo, lanciò addirittura uno show televisivo dove varie celebrities (all'epoca quasi tutte vere) si sfidavano in diretta a suon di test, a presentare il tutto uno straordinario Emilio Fede, non ancora cavalier servente di Berlusconi.


I test diventarono un modo per passare il tempo anche tra adolescenti, che senza smartphone e neppure internet qualcosa pure dovevano fare.
Ce n'era uno che girò per un po', onestamente non mi ricordo i dettagli, ma più o meno si trattava di immaginare una foresta da attraversare e che tipo di cavallo avresti voluto essere (ripeto, non me lo ricordo molto bene, però al tempo sembrava tutto più chiaro).
In base alle risposte date, la persona di fronte capiva la tua personalità, perciò se la foresta era luminosa e profumata, di conseguenza eri una persona ottimista, ma se il cavallo era un selvaggio Mustang diventavi anche un ribelle, o una cosa del genere.
L'arte dell'interpretazione era la stessa degli oroscopi, dire qualcosa di così vago che alla fine ti viene da pensare che ci hanno azzeccato, qualcosa tipo questo: "Settimana di alti e bassi, amici del xxxxxx (qui metteteci il vostro segno, vedrete che funzionerà). Nei prossimi giorni dovrete impegnarvi nel trovare un giusto compromesso fra coraggio e prudenza, potreste avere la possibilità di guadagnare molto grazie a un piccolo investimento".
Praticamente l'Oroscopo del Dottor Divago.

Con il tempo anche io elaborai un test fatto in casa, per capire la personalità di chi mi stava di fronte: bastava chiedere come ci si ricordava l'Estate, per rendersi conto subito con chi avevi a che fare.

Nei primi anni '80,  due cazzoni torinesi, poco più che ventenni, pescano il jolly e pubblicano un disco che diventerà il primo tormentone estivo della musica italiana. "Vamos a la playa" dei finti fratelli Righeira (Michael e Johnson Righeira per la precisione) inonda tutte le radio italiane ed anche molte di quelle Europee, il motivetto orecchiabile sostenuto da un ritmo diabolico, con quel ritornello ripetuto allo sfinimento sono il manifesto pop della deriva più commerciale della New wave italiana.  Che poi il testo, a volerlo capire, non è poi così spensierato, anzi come in "Tropicana" dei coevi "Gruppo italiano", è l'esplosione della bomba atomica il vero tema della canzone.

Ma quelli sono i ruggenti anni '80, con la Milano da bere, il trionfo del socialismo craxiano, l'edonismo reaganiano, gli occhiali con la montatura finta-tartaruga, il "grafico pubblicitario" come lavoro ideale (come adesso è diventato fare lo chef), e i due ragazzi di Torino ci si trovano perfettamente a loro agio.
Poco dopo provano il bis, con "No tengo dinero" e in qualche modo ci riescono, ma è due anni dopo che creano il capolavoro, la più bella canzone degli anni '80 (ok, forse esagero), la tristissima "L'Estate sta finendo", metafora della fine dell'innocenza, che chiude largamente in anticipo i gloriosi anni '80, ne sentenzia la fine, qualsiasi cosa scritta dopo questa canzone, in attesa degli anni '90, resta per me inutile, fuori tempo massimo.
L'onda del loro successo li portò  fino a San Remo l'Inverno successivo, dove cantarono "Innamoratissimo (tu che fai battere forte il mio cuore)", una delle 5 apparizioni più bizzarre della storia del Festival, poco sotto quella degli Eiffel 65 (italianissimi, però inspiegabilmente pronunciati "eiffelsistifaiv", mentre gli irlandesi U2 sono per tutti "u due" e non "iutù").
Ma è il canto del cigno, i Righeira erano finiti qualche mese prima, e infatti poco dopo l'apparizione al Festival  evaporano.


Mi sono fatto trascinare un po', test sull'Estate dicevo.

Come può essere un'Estate? Calda come i baci che hai perduto, come cantava Bruno Martino? Allora sei un romantico senza speranze. La tua Estate è costruita su grigliate notturne e birre tiepide?  Sicuramente vivi la vita giorno per giorno è il tuo frigo non è mai vuoto.
Forse è una continua "chercher la femme", oppure è piena di bagni infiniti, facendo finta di surfare su onde microscopiche, come fossi in California, fino a quando la pelle delle mani non ne può più? Magari l'Estate è consumata tra partite a carte sotto gli ombrelloni, piste per le biglie sul bagnasciuga, ore a catturare granchi per poi lasciarli liberi (perché qualsiasi cosa imprigionata ti fa tristezza, anche da bambino)?
L'Estate era vostra madre che vi dice che è ora di tornare a casa, è la sabbia che da quei sandali non se ne vuole andare?
Oppure semplicemente l'Estate è quella specie di groppo in gola, quando capisci che le giornate si stanno accorciando, che inizia a fare quasi un po' fresco alla sera, e vedi la spiaggia spopolarsi giorno dopo giorno e i bagnini chiudere gli ombrelloni sempre prima.

Per me l'Estate, ça va sans dire, è esattamente così, come il ritornello della canzone dei Righeira, altro che l'Endless Summer dei The Sandals, il mio è un eterno Settembre di un'Estate che l'anno dopo non si ripeterà, mentre diventi grande tuo malgrado.
Non so se il bicchiere sia mezzo pieno, oppure mezzo vuoto, di certo l'acqua che c'è dentro è quella salata del mare.

E allora, come immaginate la vostra Estate?

mercoledì 22 aprile 2015

Catarì

Catarì!…Che buo’ cchiù? 
Ntiénneme, core mio! 
Marzo, tu ‘o ssaie, si’ tu, 
e st’ auciello songo io.

Catarì - Salvatore di Giacomo

I numerosissimi lettori che seguono questo blog sanno da un mio post precedente, che ho abitato a Napoli per circa 3 mesi, abitato non è il temine più corretto, diciamo che essendo la mia casa una caserma, ho vissuto Napoli durante le libere uscite e durante i (pochi) weekend nei quali non ero di servizio.

Ci sono tornato dopo vent'anni, mentre con mia figlia risalivo l'Italia, dalla Puglia a Venezia, passando per Matera, Pompei (cioè Napoli appunto) e Roma. L'idea era quella di farle vedere parte di quelle meraviglie che spesso ci dimentichiamo di avere (come Matera) o che si stanno disintegrando (Pompei). Anche oggi ogni tanto mi parla di quel cane che ci portò fuori dal labirinto delle viuzze di Matera, o delle fontane dentro ai ruderi di Pompei, ad anni di distanza se ne ricorda ancora, direi che la missione è stata un successo.

La zona appena fuori la stazione di Napoli è, per usare un eufemismo, vivace, a vent'anni di distanza è cambiato tutto, ma in fondo non è cambiato nulla. Adesso ci sono negozi di cianfrusaglie gestiti da cinesi o da nigeriani vicino ai soliti panifici che sfornano panzerotti e pizze di continuo, non ho visto gli "scatolettari", come quelli che estorsero centomila lire ai due miei commilitoni (no, i due non hanno mai vinto il premio Nobel), però dopo cinque minuti un signore napoletano  mi ha offerto un "aifon" nuovo di zecca, che io gentilmente ho rifiutato.

Quello che mi colpisce, anche fisicamente, è il rumore impressionante che ci circonda, frutto di decine di motorini, clacson di macchine, musica a tutto volume dei bancarellari e, per non farci mancare nulla, i martelli pneumatici degli operai che stanno rifacendo il piazzale.

Arrivando da Matera il rumore sembra ancora più assordante, e anche nei miei ricordi di militare, i decibel erano nettamente più bassi. Anzi, il ricordo più nitido che ho dei miei pomeriggi passati a camminare per Napoli è il silenzio che circondava alcune zone del centro, una in particolare incontrata durante una Domenica in libera uscita, qaundo avevo deciso di andare al centro da solo e di perdermi un po' tra vicoli meno battuti. In fin dei conti avevo attraversato in bicicletta il downtown di Los Angeles un paio di anni prima, tanto peggio non poteva essere.
Sono gli anni del Napoli di Maradona, e quando qualcuno anche adesso sostiene che Diego Armando era una divinità non posso che confermare, non perché ho visto una puntata di "Sfide", oppure il film di Kusturica (tra l'altro perfettamente a suo agio nel raccontare un pazzo come lui) ma perché ho visto con i miei occhi come un ragazzo di Buenos Aires fosse diventato il dio-re di un'intera città.

Quella domenica giro per Napoli senza una meta precisa, attraverso un vicolo, vuoto e  silenzioso, addobbato con decine di gagliardetti col faccione di Diego Armando e mi trovo davanti ad un capitello costruito attorno alla foto del numero 10 argentino. Quella strada era diventata una specie di santuario in onore di Maradona, una chiesa a cielo aperto e proprio come una chiesa, silenziosa, questo silenzio mi turbava, sembrava irreale, insolito anche per la Napoli che conoscevo.
Poi da lontano inizio a sentire un rumore indistinto, sembra quasi come uno sciame d'api, più si avvicina e più diventa rumoroso, guardo il capitello con la foto di Maradona un'ultima volta prima che decine di motorini inizino a sfrecciarmi a pochi centimetri dai piedi. A bordo ragazzini con sciarpe bianco azzurre legate ai polsi, bandiere dello stesso colore.
Tornano dallo stadio, la messa è finita, Maradona e il suo Napoli hanno vinto, e l'incantesimo silenzioso di quel santuario pagano è spezzato.
Non vedrò mai più una strada di Napoli così silenziosa, ma è quello il ricordo più limpido che ho di quei tre mesi passati in uniforme.

Anni fa mi è capitato di vedere il film che Turturro ha girato a Napoli, più che un film un documentario sulla musica napoletana. Nonostante i produttori abbiano cercato di spacciarlo per una specie di "Buena Vista Social Club" in salsa partenopea, il confronto non regge. Turturro, per quanto lo si possa amare, non è certo Wim Wenders, e soprattutto al film manca la meravigliosa parabola di quei musicisti cubani, quella storia da "underdogs", da perdenti di successo, salvati dall'oblio un attimo prima di sparire per sempre, che rende la pellicola di Wenders una favola (amara) a lieto fine.
Certo, nel film di Turturro ci sono squarci di poesia straordinari, come quando i tre fratelli Esposito, produttori musicali da tre generazioni, disquisiscono proprio modo se davvero Caruso fosse stato il più grande interprete della musica napoletana, oppure quando James Senese si commuove parlando della sua infanzia di bastardo mulatto nella Napoli del dopo guerra.
Il documentario alla fine però è poco più di un collage di video musicali con Napoli come filo conduttore e ritratta, questo è vero, con una grazia ed un rispetto unico.
Quando uscì "Lisbon story", sempre di Wim Wenders, rimasi incantato, come molti altri, dalla musica dei Madredeus, e dalla voce della loro bellissima cantante Teresa Salgueiro. Quella è un'altra storia, però il gruppo portoghese mi sono tornati in mente quando ad un certo punto nel film "Passione", un signore, accompagnato solamente dalla sua chitarra inizia a cantare un brano straordinario. Fausto Cigliano, una vecchia gloria della musica napoletana ora quasi dimenticato, canta, all'interno del complesso del Pio Monte della Misericordia, "Catari", un brano composto a fine ottocento etratto dalla poesia "Marzo" di Salvatore di Giacomo, nei versi l'innamorato si paragona ad un passerotto bagnato, in balia dei capricci meteorologici di Marzo, ovvero la sua amata.
Turturro riempie la musica con le inquadrature delle sette opere della Misericordia, dipinte dal Caravaggio, mentre Cigliano tocca con grazie le corde della chitarra, nemmeno suonasse con il piede sinistro di Maradona, e canta con voce fuori moda "N'auciello freddigliuso/aspetta ch'esce o sole,/ncopp' 'o tterreno nfuso/suspirano 'e viole...".
Certo, parole non all'altezza dell'immortale strofa "chiamami 'n coppa o cellulare" del neo melodico anni '90 Franco Moreno, ma va bene così.".

Ecco, sapere che certi posti ( e certa musica) esistono e sono Napoli mi rincuora, me ne ricordo mentre scendo dal treno e veniamo storditi da quel muro del suono che ci accoglie in tutta la sua potenza.

La sera il rumore si quieta un po', camminiamo per i vicoli quasi deserti, non lo dico a mia figlia, ma spero di imbattermi nel capitello di Maradona, per confrontarne il silenzio e la magia, sarebbe così più facile spiegare a mia figlia che cosa era la mano (sinistra) di Dio.

Per capire i capricci di Marzo, temo non le servirà il mio aiuto.




domenica 5 aprile 2015

Io mammate e tu

"Michelangelo, telefono per tu!" 
"E chi è?" 
"È Carlito"   

Io mammate e tu - Karl Zéro and Eric Laugérias 



Qualche giorno fa l'azienda per la quale lavoro mi ha dato il benservito, diciamo che la storia sarebbe un po' più complessa da spiegare, ma in buona sostanza le cose sono andate così, con il tipo davanti a me che mi spiegava di come il mio stipendio fosse diventato la zavorra che impediva alla mongolfiera/azienda di solcare i cieli del libero mercato. Mentre mi parlava di tasse, Jobs act e imprenditori tartassati, mi sentivo come Keanu Reeves quando "vede" il Matrix e si muove così velocemente da sembrare lentissimo, la realtà intorno a me perdeva i contorni mentre io mi immaginavo questa mongolfiera  libera dal peso del mio stipendio, finalmente in grado di riprendere a volare. 

Il mio primo pensiero, una volta ritornato in me, è stato che, avessi saputo di avere uno stipendio così pesante, mi sarei comperato una Bentley per parcheggiarla in fondamenta sotto casa mia e non mi sarei limitato a pagare l'affitto e le bollette in ritardo. Il secondo pensiero è stato più etereo e filosofico, cioè mi sono detto: "È mò, che cazzo faccio?". Tornato a casa ho recuperato il floppy disk dove si trovava il mio curriculum, giusto per far capire quanto tempo era passato dal mio ultimo aggiornamento, e ho iniziato a leggerlo. A parte il censimento dei piccioni di Venezia, mio cavallo di battaglia, come i numerosi lettori di questo blog sapranno (vedi "Face a la mer"), il resto era di una desolazione da film post atomico, 20 anni o giù di lì riassunti in un paio di paginette  scarse. 

A vederle non mi sarei assunto nemmeno io, e io mi voglio pure  discretamente bene. Ma per uno come me, che ha visto ben di peggio (tipo Gresko nella fascia sinistra dell'Inter di Cuper, oppure l'ultima puntata di "Lost", con tanto di duello sulla scogliera a picco sul mare), la lettura della mia triste vita (ex) lavorativa non mi è sembrato un motivo sufficiente per abbattermi, semplicemente non si può, lo sappiamo tutti che quasi sempre le bollette vincono sui sogni. Non mi sono perso d'animo e mi sono concentrato, pensando quale potesse essere il lavoro che davvero avrei voluto fare. Escluso il calciatore e l'astronauta, per raggiunti limiti d'età, e il pensionato, per non avere raggiunto quel limite d'età, ho capito che avrei dovuto ridimensionare i miei sogni, e passare alla quarta posizione, trovandomi davanti al vuoto assoluto, senza neppure poter chiedere l'aiuto del pubblico in sala o poter fare una telefonata a casa. Poi mi sono detto che, almeno in questa fase del tutto teorica, i miei sogni avrebbero vinto. 
Dopo qualche minuto, o forse ora, ho deciso che uno dei lavori che mi sarebbe piaciuto fare è quello di selezionatore di  musica per le serie TV, pescare cioè a man bassa nella mia collezione di 15.000 pezzi tra CD e vinili (in realtà sono un decimo, ma almeno nei sogni, fatemi fare vivere alla grande) per trovare qualche chicca da piazzare nelle varie produzioni televisive. Figure professionali del genere esistono, e ci hanno regalato momenti indimenticabili, come la già citata "How to fight loneliness" dei Wilco in "How I met your mother", oppure l'incredibile scena nella quale Gale, l'apprendista chimico di "Breaking bad", mentre annaffia le piante di casa, canta per circa un minuto "Crapa pelada" (Crapa Pelada la fà i turtei, ghe ne dà minga ai sò fradei. I sò fradei fan la fritada. ghe ne dan minga a Crapa Pelada. Oh! Oh! Oh! Oh) del Quartetto Cetra. Sempre nel a bellissima serie "Breaking bad" ho scoperto, grazie a "Magic arrow", i "Timber Timbre", una band canadese dal suono particolare, che Wikipedia definisce "freak folk", e soprattutto dal cantante con una capigliatura riportata inguardabile.
 

La cura delle colonne sonore delle serie TV americane però non è cosa recente, da sempre c'è un'attenzione particolare alla musica che accompagna le parti filmate. Una delle prime volte che ne ho capito il potenziale è stato durante la puntata "Improbable" di X-Files, una di quelle puntate un po' bizzarre, slegate dalla trama orizzontale del complotto e degli alieni, nella quale appare addirittura Burt Reynolds come special guest. 
A più riprese, durante quella puntata sento dei brani che mi suonano famigliari, ma cantati in modo leggermente diverso, quasi beffardo. Dopo qualche ricerca online scopro chi è l'autore, chiedo al mio pusher abituale di CD che mi congeda con un secco "mai sentio" (mai sentito, ndr), e allora in un momento di lucida follia ordino il CD da un negozio francese online. Francese, perché il disco in questione è "Songs for Cabriolets and Otros Tipos de Vehiculos", di tale Karl Zéro, aka Marc Tellenne, un cantante/presentatore/comico francese dal passato punk, una personalità dissacrante della TV francese, una specie di Luttazzi d'oltralpe, già disegnatore di fumetti per il leggendario Metal Hurlant e per l'oggi mestamente famoso Charlie Hebdo.


Il disco è fatto esclusivamente di cover di canzoni europee degli anni '50 e '60, arrangiate in modo ruffiano, simili agli originali ma abbastanza diversi da farsi notare. Karl Zéro canta in francese, ma anche (con un accento mostruosamente francese) in spagnolo, greco, inglese e ovviamente in italiano/napoletano, visto che si cimenta in alcuni classici di Carosone.

Il pezzo più straordinario  è "Io mammate e tu" cantata in duetto con tale Eric Laugérias e rivisitato in chiave omosessuale, dove i due innamorati non sono un ragazzo e una ragazza, ma due giovanotti di nome Michelangelo e Carlito, un colpo di genio di Karl Zéro, con il testo uguale all'originale, con San Gennaro e tutto il resto, ma con qualche parolaccia che Carosone non avrebbe mai pronunciata (tipo uno "stronzo" con una zeta che più francese non si può). Come sia arrivato alle orecchie di Chris Carter, lo storico creatore di X-Files, resta un mistero, però sembra che la puntata sia costruita attorno alle canzoni di questo CD, vero protagonista con ben otto pezzi. Chissà se Karl Zéro gli manda gli auguri a Natale. 

Adesso che tutto si scarica sembra più facile, però quando si ha accesso a milioni di pezzi, una guida serve ancora di più, ed ecco che entra in gioco Il Poltronauta, per preventivi sapete come contattarmi. Come s'intitolava lo struggente documentario su Joe Strummer, "The future is unwritten", intanto aspetto, e pesco un po' a casaccio nel muro del suono che sta difronte alla mia poltrona,  e mi dipingo addosso le colonne sonore per queste mie giornate di riflessione.

Guardando le mongolfiere che solcano il cielo.

sabato 28 marzo 2015

Cane di paglia

Vivo in guerra per morire in pace 
È la sola regola per chi sta qua 
Quando un cane di paglia brucia di rabbia 
Esplode tutta la città 

Cane Di Paglia - One Mic


Uno dei tanti paradossi  di Venezia riguarda il cinema, nonostante ospiti uno dei più antichi festival del cinema del mondo (una volta anche tra i più prestigiosi)  le sale cinematografiche cittadine hanno corso il reale rischio di estinguersi.

A tenere in piedi un'attività tanto dispendiosa in termini di metri quadri, in una città lentamente trasformata in un gigantesco "mole", è stata la pubblica amministrazione, cioè le varie giunte rette da faccendieri comunisti, che hanno restaurato e infine restituito alla cittadinanza tre cinema ( due a Venezia è uno al Lido). 

A metà anni novanta, quando le sale cinematografiche di Venezia iniziarono a cadere come tessere di domino, gli  illuminati imprenditori veneziani, discendenti da generazioni di mercanti e  mecenati, dimostrarono di essere nani su spalle dei giganti, e volsero lo sguardo altrove, tutti presi a lamentarsi del declino della città e della qualità (intesa come portafoglio) dei suoi  visitatori.

Come già saprà il ristretto manipolo dei lettori di questo blog, grazie alla mia passione per la settima arte, sono riuscito a vedere film in gran parte dei cinema veneziani. Due su tutte le sale alle quali ero più affezionato, il cinema Accademia, e il cinema Olimpia.

In realtà i due cinema erano gemellati, nel senso che avevano la stessa gestione, io, a forza di assidue frequentazioni, finii per fare amicizia con un paio di ragazzi che si alternavano alla biglietteria.  Erano due tipi poco più grandi di me, molto colti e non proprio dei "tombeurs des femmes"

Assieme ad altri personaggi di spessore simile portavano avanti una delle tradizioni più tristi che abbia mai visto, ogni 31 dicembre raggiungevano il ragazzo di turno al cinema Olimpia, poi alla fine della proiezione dell'ultimo spettacolo, aspettavano la mezzanotte tra le poltrone della sala ormai vuota, per brindare con una bottiglia di prosecco.

Erano tutti cinefili colti, appassionati  dei discorsi fuori sincrono con i quali Enrico Ghezzi farciva i minuti morti del suo "Fuori Orario", ma in fondo avrebbero bruciato la pellicola originale di "Zabrinski point" pur di vedere Maurizo Merli nel sequel del primo "Mannaja". Credo che proprio per questo, uno dei tipi, non mi ricordo chi, se ne era venuto fuori con un sistema di classificazione che il gruppo di amici applicava esclusivamente ai film d'azione: D, DD e DDD.

"D" stava per "daghe" (cioè il romanesco daje), sibilato a denti stretti quando l'eroe del film iniziava a menare le mani (diciamo la classica situazione del primo tempo di un qualsiasi film di Bruce Lee).

Il "DD", ovvero Daghe Dio, veniva invece esclamato con più energia, quando il paladino del film iniziava ad alzare la testa dopo aver subito qualche piccola angheria (diciamo la situazione che spesso si vedeva nel secondo tempo dei film di Bruce Lee). 

Infine c'era il "DDD", ovvero l'urlo non più trattenuto di Daghe Dio Daghe!, a volte accompagnato da entrambe le mani appoggiate ai braccioli della poltrona e con il corpo proteso verso lo schermo. Rarissimamente tra la seconda è la terza "D" si aggiungeva una "C", per "can" (sempre in Veneto, non in inglese), però essendo i componenti del gruppo tutti di formazione cattolica si trattava di situazioni estremamente rare.

Anche il  "DDD" semplice, per una convenzione non scritta, veniva usato con una certa parsimonia. I film degni di un pieno "DDD" si potevano contare sulle dita di una mano, e comunque prima di ottenere tale certificato erano  sottoposti ad attente analisi e  a veti incrociati. 

Personalmente non ho mai partecipato ai loro cineforum, ma per me l'unico film degno delle tre "D", incluse  le mani sui braccioli, è "Cane di paglia".

Il film, il cui titolo originale era "Straw dogs", cioè "Cani di paglia", inizia con una frase apocrifa di Mao Tse-Tung, qualcosa tipo "Alcune persone trattano gli altri come fossero cani di paglia, ma a volte anche la paglia si incendia". Non ho trovato nessuna conferma che una frase del genere sia davvero di Mao, ma all'epoca al grande timoniere cinese venivano attribuite decine di citazioni, spesso infondate, un po' come fa adesso il "popolo della rete" con le buon anime di Sandro Pertini e Mark Twain. A dire il vero la paternità della frase data a Mao è plausibile, visto che l'immagine retorica del "cane di paglia" è ben radicata nella cultura cinese, sostanzialmente sono figure destinate al sacrificio, ma che vanno sempre trattate con un certo rispetto, perché un po' si possono incazzare, come dice il filosofo cinese padre del Taoismo Lao Tzu: "Heaven and Earth ade ruthless and treat the  myriad creatures as straw dogs" (Non so voi, ma io a questo punto non ci sto capendo più nulla).


Gli interpreti del film sono un giovane Dustin Hoffman, che interpreta un mansueto professorino di matematica, e una giovanissima, bellissima, Susan George , nella parte della moglie sexy, la regia è di un ispirato Sam Peckinpah, nel pieno della sua vita artistica e ancora non rovinato dell'alcol e dalle droghe. 

Per chi non l'avesse ancora visto, il film racconta di questa coppia che va in vacanza nella casa d'origine della moglie, in un paesino sperduto dell'Inghilterra. I bulli della zona, tra i quali l'ex fidanzatino di Susan George, iniziano a farsi gioco del professore, lo insultano, fanno delle pesanti allusioni nei confronti della moglie e arrivano addirittura a violentarla. 

Non sei nemmeno a metà film che inizia a salirti la rabbia, speri che il giovane Dustin alzi la testa, si ribelli, si difenda. Ti ritrovi a dire a denti stretti "Daghe"' e poi "Daghe Dio", ad un certo punto i teppisti esagerano e provano ad entrare nella casa del professore e allora lui "sbrocca" e si incazza come solamente un uomo tranquillo può fare, tu finalmente urli "Daghe, Dio, Daghe!", con le mani appoggiate sui braccioli della poltrona e vuoi bene a quell'uomo. I bulli diventano il tuo vicino che puntualmente lascia l'immondizia per strada dopo che lo spazzino è passato, il solito furbo che ti taglia la coda al supermercato, il commerciante al quale devi chiedere lo scontrino almeno un paio di volte, l'abusivo che ti vende i bastoncini per i selfie e lo scontrino non sa nemmeno cosa sia.

Alla fine il professore diventa una bestia, un cane di paglia che si incendia, e fa fuori tutti gli aggressori, neanche fosse Maurizio Merli, e quando partono i titoli di coda ti senti soddisfatto.

Inutile dirlo, ma quei due cinema sono mai chiusi da anni, i capodanni più tristi del mondo non si fanno più da un bel po', a pensarci adesso non erano poi così male. 

Ora il Cinema Olimpia  è un "elegante" teatro per turisti, mentre di recente il Cinema Accademia ha dato segni di vita, nel senso che dopo anni di chiusura, i proprietari, la famiglia Guetta Finzi, hanno iniziato a restaurarlo. Non ho idea di come rinascerà, forse diventerà  boutique di lusso, o forse un ristorante con la pasta e fagioli a 40 euro al piatto

In ogni caso Dustin, se leggi il post, potrebbe servirmi il tuo aiuto.

 

    

mercoledì 18 marzo 2015

Mah-nà Mah-nà

"Capitale Stoccolma, un milione e mezzo di persone, con un reddito medio di un milione e mezzo di lire all'anno. Cinquecento telefoni e trecento venti televisioni ogni mille persone. Il che farebbe supporre che uno svedese medio passi metà del suo tempo a telefonare e un altro terzo davanti al video" 
"Svezia, Inferno e Paradiso"  1967 

L'unico aspetto positivo dell'aver perso i genitori attorno ai 20 anni (un po' prima e un po' dopo) è che, nel mio caso, ho risparmiato loro lo spettacolo triste del mio decadimento. Li ho salvati dal vedermi spiaggiato nella seconda parte della mia vita come una balena qualsiasi, incastrato nelle secche del mio virtuale Bacàn (per i non veneziani, il Bacàn, quello vero, è la  zona della laguna  davanti alla bocca di porto tra il Lido e Punta Sabbioni).

Eppure la mia infanzia sembrava presagire un futuro più roseo e ricco di soddisfazioni.  Alla fine del mio penultimo anno d'asilo  le maestre suggerirono ai miei genitori di farmi saltare l'ultimo anno e di iniziare subito la prima elementare. Niente male, a soli  5 anni ero già motivo di  orgoglio di mamma e papà. 
All'epoca però la scuola pubblica non permetteva di iscriversi in prima elementare con un anno d'anticipo,  l'unica opzione era  una scuola privata, gestita da suore, abbastanza esclusiva e anche costosa. Per i soldi in qualche modo i miei si sarebbero  arrangiati, ma per entrare in quella scuola serviva un pedigree che la mia famiglia non possedeva, senza contare che  mio padre era tesserato PCI fin dal 1945 e non avevamo nessun zio prete. 

Ma essendo sempre stata una persona corretta e generosa, mio padre  aveva molti amici trasversali, tra i quali un notabile democristiano, una specie di eminenza grigia della zona che mise una buona parola e mi fece entrare saltando la lista d'attesa. Così a cinque anni e 7 mesi varcai il portone della scuola elementare "Imelda Lambertini", famosa  per la professionalità delle suore/maestre e per usare il metodo Montessori.  
Gran parte dei miei compagni erano figli di professionisti, un paio abitavano sul Canal Grande, un bambino, il cui padre era un diplomatico, aveva il salone di casa, solamente il salone, che misurava 100 metri quadrati, quasi il doppio dell'intera casa mia. C'erano  anche bambini che provenivano da famiglie normali, come Michele, che divenne il mio compagno preferito fin dai primi giorni. 

Andavamo d'accordo su tutto, anche sulla squadra di calcio, l'Inter, ed eravamo così in sintonia da non litigare nemmeno sulla scelta dei nostri idoli, ovviamente attaccanti, lui scelse Alessandro "Spillo" Altobelli, io invece Carletto Muraro, da Ghezzo, Padova.Qualche anno dopo, nell'estate del 1982, l'idolo di Michele, Altobelli, alzava la coppa del mondo in una magica notte di Madrid, mentre il mio eroe, ormai figurante in squadre di provincia,  mangiava una pizza  in qualche ristorante di Bibione. Giusto per far capire che c'è sempre qualcuno (io)  più interista di qualcun altro. Negli anni '70, in attesa dell'arrivo delle reti private, la TV dei ragazzi era ben poca cosa, essendoci solamente la RAI non avevamo altra scelta, perciò tutti i bambini guardavano lo stesso programma. 

Una mattina  durante la ricreazione  io e Michele ci ritrovammo a fischiettare la stessa canzone, sentita appunto il giorno prima durante una trasmissione per bambini. Ma facciamo un passo indietro. Ad inizio degli anni sessanta scoppiò un fenomeno cinematografico tutto italiano, il cosiddetto  "mondo movie", il cui capostipite fu  il "meraviglioso" lungometraggio di Gualtiero Jacopetti, "Mondo cane" dal quale il genere prese appunto il nome. Si trattava di una serie di finti documentari nei quali si potevano vedere (presunte) nefandezze di ogni tipo, perversioni sessuali impensabili per l'Italia democristiana di quegli anni, situazioni ovviamente fasulle, ma  pruriginose abbastanza per fare incassare a quei film miliardi di lire

 

Una delle pellicole più famose di questo genere, fu sicuramente "Svezia, inferno e paradiso", dove la voce fuori campo di Enrico Maria Salerno commenta le immagini girate da Luigi Scattini, raccontando un mondo freddo, popolato da fanciulle bionde e disinibite, tristi e senza anima, con una serie di situazioni che dipingono  la decadenza morale di quello stato socialista. 
Scene dove  le donne bionde preferiscono africani virili agli emigranti italiani, dove si mostra uno stupro  (ma come? Non era un documentario?)  da parte di alcuni motociclisti su di una fanciulla minigonnata (qui la voce fuoricampo recita che a causa dei frequenti stupri molte ragazze diventano lesbiche, giuro che lo dice per davvero), e dove i giovani prima vanno a scuola di educazione sessuale e poi alla sera fanno pratica. 

La cosa migliore del film è la straordinaria colonna sonora scritta dal maestro toscano Piero Umiliani, che nasconde una perla che rischiò quasi di non vedere la luce, al punto da essere presente solamente nella  versione americana del disco, uscita l'anno successivo in concomitanza con la distribuzione del film negli USA. Ho letto da qualche parte che fu un bambino, in visita al padre, tecnico del suono dello studio dove si stava  analizzando il materiale arrivato dall'Italia, che scoprì questo pezzo, successivamente ribattezzato e pubblicato dall'editore americano come  Mah-nà Mah-nà. Non so se la storia de ragazzino sia vera, quel che certo è che il successo di questo pezzo arriva grazie a  Jim Henson, infatti in qualche modo il brano arriva alle sue orecchie e lui lo fa interpretare, la sera del 27 novembre del 1969, durante la  14° puntata di Sesame Street Fever, da un suo pupazzo nuovo, da allora noto come Mahna Mahna. Esplode la Mahna Mahna mania che contagia tutte le radio americane e rende quei due minuti scarsi un successo planetario.
 

Qualche anno dopo, nel 1976, in occasione della prima puntata della serie The Muppets Show, il brano ritorna, questa volta Mahna Mahna è accompagnato da due vocalist, ovviamente pupazzi, The Snowths. Ed è in quella puntata che io e Michele sentiamo la canzoncina che stiamo fischiettando quella mattina.

Siamo vicini a Pasqua, e suor Adeodata (oppure suora Deodata, non mi mai capito come si scrivesse), la nostra maestra nata nel 1927 a Caorle, ci assegna un compito facile, da fare in coppia: un disegno che rappresenti la resurrezione di Cristo. Io e Michele ci mettiamo subito al lavoro, disegnamo una grotta dalla quale esce Gesù, iniziamo a colorarlo, poi ci guardiamo e compiamo il   primo atto goliardico della nostra vita, nella parte lasciata bianca del cielo scriviamo "Mahrabara, tuturutu!" (Sbagliando ovviamente lo spelling).

Quando consegnamo il disegno tratteniamo le risate a fatica, ma già alla sera mi pento amaramente di quella bravata.

Il giorno dopo la suora ci accoglie con un sorriso che non promette niente di buono, quando consegna i disegni siamo gli ultimi ad essere chiamati, ci trasciniamo come due piccoli condannati a morte davanti al plotone d'esecuzione, arrivati alla cattedra ci dice che il disegno è molto bello e che ci meritiamo un 8. Mentre ci guardiamo stupidi, la maestra spiega al resto della classe che "Mahrabara" vuol dire benvenuto in aramaico (così almeno sostiene lei), però, e si rivolge a noi, non capisce il significato di "tuturutu".  In fin dei conti sono un bambino prodigio, ho saltato una classe mica per niente, guardo la suora e improvviso, le spiego che è il canto degli uccellini a primavera. La suora ci casca, e torniamo ai nostri banchi orgogliosi del nostro colpo di genio.

 

La scuola elementare Imelda Lambertini ha chiuso anni fa, probabilmente a causa del calo  delle vocazioni (niente suore, niente maestre) o forse è stata colpa del crollo delle  nascite in città, forse i costi erano insostenibili, anche se il palazzo è vuoto da allora. Non ne ho idea, ma al posto della targa con il nome della scuola adesso c'è un buco sull'intonaco, una specie di ferita non rimarginata.

Michele lo incrocio ogni tanto tanto, abita ancora a Venezia, e ovviamente è ancora interista, nel 2010 è riuscito ad andare a Madrid per assistere alla finale di Champion's Vinta dall'Inter, a conferma che non tutti gli interisti sono uguali.

Io invece, con buona pace dei vincenti, di chi ha "l'occhio della tigre", ho deciso di stare fermo, a volte quando la vita ti fa spiaggiare su secche impreviste non c'è nulla da fare, se non aspettare l'alta marea. 

Al limite, nell'attesa, fischietto.