sabato 4 gennaio 2014

Musica # 1 - Monkey Man


I've seen no sign of you, I only heard 'bout you
Huggin' the big monkey man

Monkey Man - Toots and the Maytals

Da qualche parte ho letto che l'età d'oro del reggae fu il periodo immediatamente dopo la morte di Bob Marley, quando tutti si misero  alla ricerca di un erede pronto a raccogliere i milioni di fan orfani.

I piani non andarono come previsto, non si poteva sostituire "qualcosa" come Bob Marley, io nel mio piccolo mi limitai a comprare, lentamente, tutti i suoi LP, finiti i quali cercai le nuove leve e i classici del passato.




La copertina è nera, ha la scritta "Toots and The Maytals" composta da lettere tridimensionali, forse di vetro, ma che si stanno sciogliendo come fossero di ghiaccio, con relativo effetto "acqua" tutt'attorno.
Photoshop  non esiste ancora, non ho idea della fatica che il grafico abbia fatto, l'effetto però è straordinario.
Il disco un po' meno, lo trovo nelle microscopica sezione "reggae" di un negozio di dischi a Venezia, che ovviamente ora non c'è più. 
Mi ritrovo in mano un  "Best of" di Toots and The Maytals, il vinile sta dentro quella terribile busta di plastica leggera, impossibile da gestire quando si prova a rimettere il disco dentro la copertina.

La band è quasi contemporanea a Bob Marley e ai suoi Wailers, ha conosciuto il successo prima, verso la fine degli anni '60, al punto che a loro si deve il battesimo ufficiale della parola "reggae", che per primi usarono in una canzone del 1968, "Do the Reggay" appunto.

Il disco non è male, considerando che però è un "the best" qualcosa in più ci si poteva apettare, ovviamente ci sono tutti i loro classici, da "Pressure drop", già nella colonna sonora di "The harder they come", alla cover di "Take me home Country Road" di John Denver, nella quale "West Virginia " diventa "Sweet Jamaica", fino a "54-36" (che anni dopo diventerà la "Santamarta" degli Ska-j).
In generale però quello dei Toots and The Maytals non è il Reggae che conoscevo, sicuramente una generazione indietro rispetto a "Catch a Fire" di Bob Marley & the Wailers (ma a dire il vero, quale disco Reggae non lo è?).
Tra tutti i pezzi una canzone mi entra subito in testa e non mi vuole più lasciare: "Monkey Man".

Mentre l'ascolto mi viene in mente la storia di quel tipo che abita con delle scimmie, e decido una volta per tutte di andare a vedere se davvero è così.
La casa è in una zona lontana, dall'altra parte di Venezia, vicino alla chiesa di San Nicolò dei Mendicoli, un posto a me esotico quanto una cittadina dei Balcani.

Del tipo non so nulla, dicono che sia stato un marinaio, che abbia una passione smodata, oltre che per le scimmie, per i bei ragazzi e la "maria", che fuma spesso e volentieri.
Queste cose non mi interessano, voglio vedere le scimmie, una mezza dozzina di babbuini che vivono con lui.

Attraverso tutta la città, arrivo davanti ad un muro compatto di case, mi hanno detto che la sua si trova proprio dietro, dopo 10 minuti di tentavi, sto per mollare, ormai credo sia una leggenda, poi scorgo una calle stretta, come una piega su una camicia stirata male, e mi ci infilo.

La gabbia gigantesca sbuca da dietro il muro di quella che credo sia la sua corte privata, e si piazza in mezzo alla strada, coprendola in tutta la sua lunghezza.
La casa ha tre piani e alcune finestre hanno una rete di metallo, sembra disabitata, ma poi sento le risate di alcuni bambini provenire dall'interno.
No, non sono bambini, nessun bambino riderebbe così.
Sul bordo del muro vedo una mano, poi due, e infine una faccia pelosa con dei denti aguzzi, che mi guarda di traverso e inizia ad urlare.
Subito dopo un'altra faccia, e poi un'altra ancora. Eccole, finalmente, le scimmie. Non si trattava di una leggenda raccontata per prendere in giro i bambini, è tutto vero.


Torna a casa contento, fra cinquant'anni, racconterò questa storia a qualcuno, che non mi crederà.