sabato 27 settembre 2014

Musica # 21 - Vita spericolata

"Battendo la palla, si è torto in sospensione, tronco parallelo al suolo, una specifica modalità, un supplemento d'intenzione verso la rete del vero attaccante di affondo, pure incline ai mezzi di fortuna."
La rovesciata in excelsis di Gigi Riva - Andrea Aloi

Di solito è un parente, oppure un vicino di casa.
Prima o poi capita che un coetaneo se ne vada quando tu non sei ancora adulto e la morte è una cosa che sembra non possa esistere, perché per un breve periodo della nostra esistenza siamo tutti immortali.

Era un lunedì di fine inverno, quando le giornate iniziano ad allungarsi e non fa più così freddo. 
Mentre camminavo tra i corridoi di scuola incrociai molti volti scuri, certi addirittura in lacrime, un po' eccessivo anche se si trattava del primo giorno della settimana.

Entrato in classe chiesi cosa fosse successo, qualcuno mi disse che un ragazzo di quinta, Marco, era morto durante il weekend.
Era in visita da dei parenti da qualche parte in Friuli quando senza alcun motivo plausibile aveva perso il controllo del motorino, andando a sbattere su di una cancellata, nonostante indossasse il casco era morto sul colpo, il fratello che viaggiava con lui invece se l'era cavata con qualche livido.
Ora, credo che l'incidente stradale sia
normalmente la causa di morte più diffusa in Italia per gli under 25, ma a Venezia si tratta di un evento piuttosto raro, statisticamente credo sia più facile che un Samoano muoia assiderato.

Conoscevo 
bene Marco, avevo fatto tutte le scuole elementari in classe con uno dei suoi fratelli, mentre in quegli anni delle superiori ci si vedeva spesso nei corridoi, aveva la faccia da paraculo, degli occhi azzurri e un sorriso che ti conquistava, in più (come molti altri adolescenti dell'epoca) tutti e due adoravamo Vasco Rossi.

Per noi, senza fratelli maggiori a passarci i Clash e i Sex Pistols, Vasco Rossi era la cosa più punk e più ribelle che c'era in giro. Uno che diceva le cose come le pensava, che se ne fotteva di tutti e del political correct, che poteva cantare frasi come "è andata a casa con il negro, la troia" senza passare per maschilista e razzista (almeno per noi). Se non bastasse era mal sopportato dagli adulti, il che lo rendeva ai nostri occhi ancora più un eroe.


Mi ricordo che avevamo scoperto di essere stati tutti e due ad un suo concerto, in un dimesso campo sportivo nella periferia di Mestre, forse 5.000 spettatori in tutto, probabilmente uno degli ultimi concerti nel quale Vasco era riuscito a cantare "Albachiara" senza arrendersi alla versione karaoke urlata dai suoi fans.
 



Biglietto del concerto di Vasco Rossi a Zelarino

Poco dopo la scomparsa di Marco, nel campetto di cemento ricavato nel chiostro quattrocentesco della scuola, iniziò un torneo di calcetto, che finì per essere intitolato a lui.

Decidemmo che se la nostra squadra avesse vinto il torneo, la coppa sarebbe stata regalata alla sua famiglia.  Vincemmo tutte le partite, inclusa la finale, senza grossi problemi. Segnai il gol del definitivo 7 a 3 con un'azione spettacolare: gran colpo di testa, palla respinta dalla traversa con una parabola morbida che mi supera, questione di un secondo, mi giro e con una rovesciata la colpisco al volo, gran botta dritta sotto l'incrocio. 

Un gesto così bello che andrebbe messo nel "Curriculum Vitae": "propensione al problem solving, al lavoro di squadra e a fare gol in rovesciata sul cemento".

Io e un mio compagno di squadra ci offrimmo volontari per consegnare la coppa alla famiglia di Marco, ma quando la recuperammo dall'ufficio del preside il coperchio ci sfuggì di mano e l'omino raffigurante un calciatore posto in cima si ruppe. 

Non potevamo certo portarla in quelle condizioni, così passammo nel negozio che ce l'aveva realizzata. Il tipo ci guardò e ci disse che dovevamo aspettare almeno 2 settimane, visto che aveva finito tutte le statuine di quella dimensione, gli spiegai che ci serviva subito, perchè stavamo andando dalla madre del ragazzo al quale era stato intitolato il torneo.
Da qualche cassetto saltò fuori una statuina un po' sghemba, sicuramente fuori scala, quasi metà di quella originale, ma era sempre meglio di niente.

La madre di Marco ci accolse con un sorriso, si capiva però che la sua testa era altrove, aveva davanti due ragazzi dell'età del figlio appena morto e probabilmente avrebbe voluto essere ovunque tranne che con noi. Comunque fu gentile,
ci fece accomodare, ci ringraziò per la coppa e per il pensiero, e ci offrì una coca cola.


Marco era ovunque in quella casa, sul quel tavolo in cucina dove aveva mangiato centinaia di volte, in quelle sedie di legno dove adesso stavamo noi, nello sguardo perso della madre.

Io guardavo quel calciatore minuscolo in bilico sul coperchio della coppa, con la speranza che la colla messa pochi minuti prima non ci tradisse, e mi venne in mente l'ultima immagine che avevo di Marco.


C'era stata una riunione di scuola pochi giorni prima di quel tragico weekend, passate le solite 2 ore ad ascoltare i capipopolo ripetenti, l'assemblea plenaria iniziò a sciolgliersi, dalla cassa dietro alle mie spalle sentii le note famigliari di "Vita Spericolata", mi girai verso la cattedra e vidi Marco, sapeva che l'avevo scoperto, mi guardò con la sua solita faccia da furbetto, aveva appoggiato le cuffie del walkman sul microfono e aveva fatto partire la cassetta di Vasco, il gesto più rivoluzionario al quale potevamo pensare.


Quando uscimmo in strada mi fermai un secondo, mi mancava quasi il respiro,  avevo realizzato che davvero Marco era morto, che non ci saremmo mai più rivisiti, nemmeno al Roxy Bar. La sua vita spericolata era durata un mezzo inverno, la mia invece... che dire, un paio di volte ho corso tenendo delle forbici in mano, e anche oggi continuo a mangiare le ciliegie con il nocciolo. 
Vi sembra pericoloso abbastanza?