giovedì 30 ottobre 2014

Musica # 22 - Il Mattino di Grieg


"Tele Capodistria era un vulcano di emozioni. Film partigiani dove i tedeschi erano cattivi e i partigiani buonissimi e intelligentissimi. Un paradiso socialista"

Cinnamon - Offlaga Disco Pax


Sarebbe simpatico che durante i 3 anni delle scuole medie l'insegnamento della Musica includesse strumenti musicali un po' più cool. Non dico un pianoforte oppure un sax tenore, basterebbe una chitarra, un ukelele, tutto piuttosto che quell'odiato flauto dolce.
Che va a finire pure che il primo Yamaha che ti trovi tra le mani non è un motorino, ammesso ce ne siano della casa giapponese, e nemmeno il motore fuoribordo di un barchino (di quello sono sicuro, essendo un orgoglioso comproprietario di uno scoppiettante 9.9) ma un misero flauto di plastica colorata.

A parte questo flauto e le chitarre suonate a messa, l'unico altro strumento del quale ho un po' di memoria nella mia preadolescenza è la tastierina portatile della Casio (con tanto di basi ritmiche) con la quale il mio vicino di casa riusciva a replicare in tutto il suo splendore "Enolaghei" (a.k.a. Enola Gay) degli Orchestral Manoeuvres in the Dark.

Le lezioni di musica a scuola invece erano terribili, fatte da una professoressa ingioiellata che non perdeva occasione per mostrarci quanto fosse annoiata. Io però all’inizio ci credevo, inspiegabilmente, in uno slancio di entusiasmo,  riuscii a far comperare ai miei genitori un vero flauto di legno, tedesco, con il quale iniziai a suonare dei brani quasi ascoltabili.
Tra le decine di pezzi che la professoressa ci obbligava ad imparare non ce n’era uno che si poteva salvare. Un giorno però ci propose un brano di un autore norvegese, tale Edvard Grieg, per la precisione “Il Mattino”, e capii che avevo riposto bene la mia fiducia.

Per i nati dopo il 1980, probabilmente questa melodia non dice nulla,  per tutti gli altri nati prima (e temo siano gli unici a leggere questo blog), qualche effetto dovrebbe fare, in teoria almeno.

L’immagine qui sotto dovrebbe aiutare.


Il Fauno della sigla di Capodistria
Il “Mattino” di Grieg era la tromba dei bersaglieri, era la musica che faceva iniziare (con meno energia lo ammetto) le trasmissioni di “Capodistria”, la strada socialista alla felicità via etere.

Avendo ora a disposizione un numero illimitato di canali televisivi, pensare al senso di libertà che dava poter guardare un terzo canale, tra l'altro di un paese socialista (in Italia i socialisti c’erano pure, ma si chiamavano “craxiani”), è piuttosto difficile.
Però, negli oscuri anni '70, dove la TV italiana era saldamente in mano alla DC, riuscire a captare le trasmissioni di un paese straniero, che parlava anche italiano, era un piccolo miracolo.
In più, libera dalla censura democraticacristiana che vegliava sulla RAI, la TV Koper-Capodistria (questo era il nome per intero) ogni tanto trasmetteva quei film pruriginosi che andavano di moda in quegli anni, dove in realtà si vedevano meno chiappe di quante se ne vedano oggi nella prima serata di RAI 1, ma tanto bastava per creare racconti leggendari tra i miei coetanei.

Io di quella TV onestamente non mi ricordo tanto, di certo non i film scollacciati, piuttosto dei cartoni animati, come quelli di Balthazar, oppure la pubblicità della INNOXA, una marca di prodotti di bellezza ora scomparsa dalla TV, ma che all'epoca aveva uno spot in "heavy rotation" con dei cartoni animati che ricordavano la striscia "B.C." di Johnny Hart.



Il Professor Balthazar

Vista la vicinanza geografica, ero convinto che fossimo l'ultimo posto in Italia ad essere raggiunto dal segnale della TV Jugoslava/Slovena. 
Invece di recente, ascoltando un pezzo degli "Offlaga Disco Pax" ho scoperto che gran parte dell'Italia godeva come noi delle trasmissioni fatte per la minoranza di lingua italiana della Slovenia e della Croazia.

Spesso "Capodistria" passava film sui partigiani, dove davvero erano rappresentati come “buonissimi e intelligentissimi”.

Mio padre, che non aveva dubbi su chi aveva ragione e chi torto, li guardava con gli occhi lucidi, lui che davvero la guerra l'aveva vista, vinta ma si era rassegnato ad un eterno pareggio.

La frase di “Cinnamon” ha aperto uno scatolone con delle immagini che avevo sistemato della soffitta dei miei ricordi, portando a galla una scena di un film.
I partigiani si nascondono sotto degli alberi, in delle specie di tane. I nazisti per stanarli testano il terreno con le baionette, se la lama passa senza problemi li sotto c'è una buca e probabilmente un partigiano, se invece non penetra con facilità, vuol dire che il terreno è pieno.
Nella scena che mi è rimasta impressa nella memoria, un partigiano è effettivamente nascosto sotto terra, per non farsi scoprire dal nazista, appena vede la baionetta avvicinarsi dall'alto, mette la mano sulla punta, ovviamente inizia a sanguinare ma resiste in silenzio, fino a quando il nazista se ne va, ingannato da questo gesto eroico.

Poi il buio, nel senso che non mi ricordo più niente di quello che Capodistria  trasmetteva.

A metà anni '80, l'imprenditore televisivo Silvio Berlusconi, pensò bene di acquistarla, trasformandola in un canale dai contenuti prevalentemente sportivi.
L'esperienza durò poco, e prima degli anni '90 la TV tornò in mane Slovene, per continuare a trasmettere trasmissioni anche in lingua Italiana.

Io nel frattempo avevo smesso di suonare il flauto dolce, e quelle mie performace mentre eseguivo "Il Mattino di Grieg", resistendo al desiderio di ruotare come la statua della sigla, erano un ricordo imbarazzante e ben nascosto.

Pare che adesso la TV Koper-Capodistria trasmetta sul digitale terrestre, canale 27 o 29, l'ho pure cercata, invano, con il terrore di trovarla per scoprire che certi ricordi è meglio lasciarli in pace. 
Magari anche i nostri vicini Sloveni, per avere lo share del 42%,  mandano film nei quali i Partigiani sono dei mentecatti con la forfora e i nazisti dei bravi ragazzi, perché si sa che se ancora ti ostini a dire cose "vecchie e di sinistra" al massimo arrivi al 25%, di share ovviamente.


giovedì 23 ottobre 2014

Sport # 8 - Arthur Antunes Coimbra

"Zico ha giocato con i guanti, il mio Aristoteles giocherà col cappotto!"

 Oronzo Canà - L'allenatore nel pallone



Non sopporto l'amarcord nei social, scritto da me suona strano, visto che ho fatto della memoria collettiva mascheratra da individuale la materia di questo blog, ma i vari riferimenti ai "mitici anni '80" (che a breve saranno "mitici anni '90") con annessi immagini vintage di quelle cose che non ci sono più, fatte girare in loop nei vari wall, giusto per consumare le batterie degli smartphone e per permettere a Zuckerberg & c. di vendere qualche inserzione in più, mi sono indigesti.

Detto questo ci sono delle cose che alcune generazioni hanno vissuto ed altre no, nel mio caso mi ricordo con una certa chiarezza la cosiddetta apertura delle frontiere del campionato di calcio di Serie A nel 1980.

Dopo 14 anni di embargo dovuti principalmente alla figuraccia dell’Italia contro la Corea nei Mondiali del 1966, la Lega Calcio decise di permettere alle squadre di ingaggiare un solo giocatore straniero (impensabile adesso). Arrivò la prima ondata di giocatori, pochissimi i veri fuoriclasse (Falcao, Krol, Liam Brady) un paio giocatori discreti (Prohaska, Daniel Bretoni), qualche mestierante più o meno esotico (Juary, Van de Korput,  Eneas, Neumann) e un paio di “sole” non da poco, come il re dei bidoni Luis Silvio della Pistoiese e Fortunato del Perugia (mi ricordo ancora il titolo della Gazzetta, quando il Perugia ripiegò su questo giocatore
dopo essersi fatta sfuggire tale Bravo, un altro argentino: “Bravo no, ma Fortunato”).
Comunque già questi bastavano per soddisfare un digiuno lungo 14 anni, dopo un paio di anni , passando sempre per una serie di modesti impiegati e altri bidoni come Mirnegg, Caballo e Nastase, iniziarono ad arrivare una serie di campioni straordinari, probabilmente i migliori al mondo in quel momento, da Platini a Rummenigge, fino alla materializzazione della mano sinistra di dio, nel 1984, Diego Armando Maradona.

Ma è l’anno prima che si concretizza un miracolo senza precedenti, una squadra di provincia, piccola e senza una storia significativa, mette a segno il colpo del secolo, grazie ad una serie di magheggi del suo ds, l’allora giovane volpone Dal Cin, l’Udinese ingaggia Arthur Antunes Coimbra, in arte Zico, il più forte numero 10 brasiliano dai tempi di Pelè.
 




Zico tra capitan Causio e Pietro Paolo Virdis

Come l’Udinese ci sia riuscita è un mezzo mistero, la copertura economica viene data da uno stadio praticamente tutto esaurito dagli abbonamenti, una serie di sponsor più o meno occulti  e un meccanismo complicato per lo sfruttamento dell’immagine del giocatore. Zico resterà 2 anni, regalando emozioni e speranze a tutti friulani, ancora alle prese con la ricostruzione del dopo terremoto, anche se le sue prestazioni verranno limitate da numerosi infortuni muscolari, causati anche dal freddo (pare che in inverno a Udine la temperatura sia più bassa di quella di Rio de Janeiro).

Io aspettai con ansia il suo esordio, mi ricordo ancora “Tutto il calcio minuto per minuto” di quella domenica, con gli interventi dell'inviato da Genova, che descrivevano la lezione di calcio impartita dall’Udinese, risultato finale 1-5, con doppietta di Zico.

Quando vidi le azioni in TV, provai una certa pena per il terzino del Genoa, tale Claudio Testoni di Marano sul Panaro, che si trovò a marcare un marziano, che si muoveva come uno scoiattolo lungo la linea d'attacco, mentre lui sembrava un palombaro con le vertigini.

Dal Cin,
già ad inizio stagione, aveva probabilmente piazzato una dozzina di amichevoli per fare cassa, così ad un certo punto in primavera l'Udinese viene a Venezia per sfidare la nostra squadra, all'epoca impantanata in un anonimo campionato di C2.

Ovviamente non posso perdere un'occasione del genere e mi organizzo con un mio compagno di classe, l'appuntamento è alle Fondamente Nove, dove dovrei prendere il vaporetto per lo stadio,  già con il mio amico a bordo.

Stranamente arrivo in anticipo, mi metto ad aspettare, da una calletta di fronte alla fermata del vaporetto un tipo mi fa un cenno, è vestito in modo anonimo e ha un sacchetto di plastica azzurra in mano, mi chiede se posso aiutarlo, io mi avvicino e quando gli sono ad un metro apre il sacchetto e mi fa vedere un tesserino della polizia, una pistola e un paio di manette. Mi dice che sa chi sono, che posso seguirlo con le buone oppure con le manette ai polsi.

Sono ammutolito, non capisco se è uno scherzo, ma il tipo non sta ridendo e mi prende per il braccio, mi spinge verso il ponte delle Fondamente Nove e mi dice che sono fottuto. Mi chiede un documento, al solito non ce l'ho, l'unica cosa che ci si avvicina è l'abbonamento ai vaporetti, e mentre glielo mostro mi ricordo che è ormai da mesi che ho sostituito la mia foto con una di Einstein, mi guarda con disgusto mentre a fatica la tolgo mostrandogli l'immagine sotto.

Ma lui non molla, mi dice che sono nella merda fino al collo e che lui gli spacciatori come me li odia. Gli dico che sta sbagliando, sembro John Belushi nei Blues Brothers, quando viene intercettato dall'ex fidanzata (Carrie Fisher) che anni prima l'aveva aspettato invano sull'altare il giorno del matrimonio, ed inizia a pregare e a piangere, ad invocare perdono, ad inventare le scuse più inverosimili (le cavallette, la carestia)  fino a quando lei ci casca e lo lascia andare.

Ecco, quello sono io, in cima al ponte con un agente in borghese che mi tiene per braccio, e io che gli spiego che ho 15 anni, che abito li dietro, che se vuole possiamo andare a suonare il campanello di casa mia, che mi trovo alle Fondamente Nove perchè sto andando a vedere Venezia-Udinese, Zico!

 

John Belushi / Jake "Joliet" Blues che prega l'ex fidanzata

Non so se il tipo si arrende all'evidenza, oppure se invece è un buongustaio del calcio, e se considera la possibilità di vedere dal vivo un poeta del pallone come Zico un diritto inalienabile anche per un pericoloso spacciatore. Comunque mi lascia andare proprio mentre il vaporetto sta attraccando, corro come un ladro con la polizia alle calcagna (in effetti...) ma arrivo all'imbarcadero proprio mentre il motoscafo molla gli ormeggi. Ho un'altra possibilità: correre lungo la fondamenta, visto che il vaporetto ci naviga parallelo per raggiungere la fermata successiva, un paio di ponti e circa 400 metri più avanti.

Sembro Miruts Yifter all'ultimo giro dei 10.000, questa volta riesco ad arrivare in tempo. Mentre boccheggio come un pesciolino rosso caduto dalla boccia sul pavimento, Carlo, il mio amico che mi aspettava a bordo mi chiede cosa sia successo. Quando glielo spiego mi guarda perplesso, e si convince solamente quando gli mostro l'abbonamento senza la foto di Einstein, perchè sa che solamente un'emergenza me l'avrebbe fatta togliere.

Per completezza d'informazione, devo dire che il giorno dopo lessi su "Il Gazzettino" di una retata di spacciatori fatta dalle parti delle Fondamente Nove, l'articolo parlava del sequestro di un barchino pieno di droga e chiudeva dicendo che forse un paio di elementi della banda erano sfuggiti all'arresto.

Uno di sicuro era allo stadio a vedere Zico.

domenica 19 ottobre 2014

Libri # 2 - Watchmen

Laurie Juspeczyk: Is that what you are? The most powerful thing in the universe and you're just a puppet following a script?



Doctor Manhattan: We're all puppets, Laurie. I'm just a puppet who can see the strings. 

Watchmen - Alan Moore


7:36 non è un versetto della Bibbia, è l'orario del Vaporetto (la versione veneziana dell'autobus) che durante i 5 anni delle scuole superiori ho preso ogni mattina.
Salivo a Cà d'oro, ad aspettarmi a bordo c'erano già un paio di compagni, altri si aggiungevano alla fermata successiva, quella di Rialto. 


Scendevamo alla fermata dell'Accademia e poi in 5 minuti si arrivava in classe. 

L'ultimo anno iniziai ad usare sempre meno il vaporetto, facevo la strada a piedi, quasi mezz'ora, salivo il ponte dell'Accademia senza affanno, come un buon mezzofondista.



Ponte dell'Accademia, lato Dorsoduro

Non mi ricordo quando iniziò, ma ad un certo punto mi accorsi di una ragazza, la incrociavo quasi ogni mattina, era la cosa più bella della giornata, aveva uno sguardo dolce, un viso di una grazia preraffaelita. Per qualche strano motivo la vedevo solamente li sopra, mai prima o mai dopo, e soprattutto mai durante la giornata. Dopo un po' si accorse di me, probabilmente la bava che perdevo dalla bocca ad ogni incontro aveva attirato la sua attenzione. Quello era ormai diventato un appuntamento fisso, e in cuor mio ero sicuro che anche lei, magari con meno trepidazione, aspettasse quel momento. Prima o poi avrei rotto gli indugi, ormai era questione di giorni e l'avrei fermata.
Ad un certo punto però scomparve, non mi ricordo il giorno preciso, era la fine dell'anno scolastico e mi accorsi della sua assenza, aspettai fiducioso qualche settimana, arrivarono gli esami di fine anno e l'estate, ma non la rividi più.

Se potessi scegliere, quale supereroe vorrei essere? Tutti se lo chiedono, forse di più i maschiettii che le femminucce, ma questa è una domanda che ogni pre-adolescente (ma anche qualche post-adolescente) ad un certo punto si pone.
I supereroi che conosciamo sono figli della cultura USA, pur venendo da molto più vicino. Anche con i pochi micron di sapere che mi ritrovo, riconosco tracce della cultura mediterranea nell’universo Marvel. A partire da quella ebraica (non a caso i padri della Marvel sono due signori chiamati Stanley Martin Lieber / Stan Lee e Jacob Kurtzberg / Jack Kirby), come ad esempio Silver Surfer, che ricorda la figura dell’ebreo errante.
Come gli eroi delle tragedie greche, anche i supereroi Marvel si trovano sempre ad affrontare situazioni incredibili, straordinarie, dove il corpo è un’armatura luccicante e non è mai alle prese con il quotidiano dell’uomo comune.
Voglio dire, avete presente “The Thing”, cioè La Cosa dei Fantastici Quattro, quel mostro di pietra in grado di sradicare grattacieli dalle strade? Non so voi, ma io mi sono sempre chiesto cosa può produrre quel suo intestino di roccia, che razza di dolmen può mai creare nelle sue sessioni mattutine nel WC.
E l’Uomo Ragno? Cosa gli potrà uscire dal naso quando Peter Parker si trova a letto alle prese con la classica influenza invernale? E tornando ai Fantastici Quattro, siamo poi così sicuri che Mr. Fantastic, aka Richard Reeds, capace di allungare ogni parte del suo corpo, qualche trucchetto a letto per fare contenta la moglie non l’abbia mai usato?

Il primo supereroe che si rispetti è Superman, così per non sbagliarsi già si cala l'asso. Superman fa praticamente tutto quello che un comune mortale vorrebbe fare, ha una forza smisurata, corre velocissimo, addirittura vola, ha la vista a raggi X , il soffio congelante (!?) ed ha pure il ciuffo.

Poi arrivano gli altri, quelli che si arrampicano sui muri (se voli, che cazzo te ne fai), quelli che quando s’incazzano diventano fortissimi e verdi (pure qui, resti tranquillo, non diverti verde e sei forte uguale), ognuno di questi ha un potere speciale, un punto di forza, ma alla fine Superman è sempre stata la mia prima scelta.
Almeno fino all’arrivo di Watchmen, la più grande graphic novel di sempre, il punto di non ritorno del mondo dei fumetti, il passaggio definitivo dall’adolescenza all’età adulta.
Ambientato a fine anni ’80 in un mondo simile al nostro, Watchmen ha una narrazione piuttosto complessa, dove si intrecciano diverse sotto-storie, che partono da lontano, nel tempo e nello spazio, per creare un racconto corale potente.
Watchmen rappresenta la fine del supereroe così come l’avevamo immaginato, nel libro ci troviamo davanti a due generazioni di supereroi, la prima (vigilantes dopati più che uomini con super poteri) invecchiata e dimenticata, che vive nei ricordi nei pochi superstiti, la seconda, messa fuori legge dal parlamento Americano, formata da psicopatici che non si sono arresi (Rorschach), da benestanti annoiati (Nite Owl), da geniali ricchi megalomani (Ozymandias) e ovviamente dal Doctor Manhattan, arruolato ed integrato nel sistema governativo, l’arma segreta che ha reso gli USA la vera superpotenza di quel mondo.
Doctor Manhattan, capace di muoversi nello spazio e nel tempo (anche se in realtà “nel tempo” ci vive), in grado di spostare oggetti e persone, di ingrandirsi, di sdoppiarsi, di domare qualsiasi materia, con un QI nemmeno misurabile, è lui il mio supereroe. Ma nemmeno lui è onnipotente, come Alan Moore mostra in uno dei suoi dialoghi più memorabili, quando gli fa ammettere di essere nient’altro che una marionetta come tutti gli altrii, con la differenza che almeno lui vede i fili.

Doctor Manhattan sulla superficie di Marte

Nel corso della storia Doctor Manhattan si allontana sempre di più dalla terra e dagli uomini, finché decide di andarsene, per creare un mondo tutto suo.
Ecco, se proprio devo puntare in alto vorrei essere lui, il look è simile (giusto la pelle un po’ più blu), il mio QI è abbastanza altino, sul resto ci possiamo lavorare.
Ma se dovessi andare al ribasso mi accontenterei di un semplice, unico potere, che credo nessun supereroe abbia mai avuto, vorrei avere la capacità di sapere quando è l’ultima volta che “qualcosa” accade mentre la sto vivendo.
Cioè capire quando un gesto o una situazione apparentemente normale non si ripeterà più, per pemettermi di viverla meglio. Avrei voluto capire che quella sarebbe stata l’ultima volta al cinema con mio padre, che dopo quella carezza, mia madre non me ne avrebbe date più, capire che quella con Mourinho sarebbe stata l'ultima Champion's vinta dall'Inter (a dire il vero, per questo non serve un superpotere).
Avrei voluto sapere che quella mattina di Maggio, sul ponte dell’Accademia, sarebbe stata l’ultima volta che avrei incrociato quella ragazza. Sicuramente la mia vita sarebbe stata diversa.

Almeno adesso saprei il suo nome.