mercoledì 13 agosto 2014

Musica # 18 - Sexual Healing

"Fioi, gavè na biro?"

Anonimo, Giardini Della Biennale, Estate 1985



Ad un certo punto arrivò una richiesta da parte dello "Zio" americano, c'era una ragazza, una delle tante del suo harem, che aveva bisogno di staccarsi dall'atmosfera soffocante di Los Angeles, voleva sapere se potevamo ospitarla per qualche mese.

La casa non era nemmeno di 70 metri quadrati, eravamo già in cinque, ma quando lo "Zio" chiamava, mio padre non poteva dire di no.

June arrivò fresca dei suoi 25 anni, bionda e bella come solamente le californiane potevano essere negli anni '80, e si piazzò in cameretta mia, purtroppo con me fuori, e finii per accamparmi nella stanza dei miei.

La tipa era proprio bella, aveva fatto la modella a LA, cercando come tutte di sfondare nel mondo del cinema, l'apice della sua carriera era stata la partecipazione al video "Pale Shelter" dei Tears For Fear (si, è la ragazza col costume rosso, la stessa che dopo abbraccia il tipo sulla pista dell'aeroporto).
Anche dal vivo si notava, al punto che ogni tanto al citofono di casa nostra suonava qualche bel giovanotto della zona in cerca di lei, mio padre cercava di limitare i danni, e in qualche modo ci riusciva.

Un giorno June, scura in volto, ci disse che Marvin Gaye era stato ucciso dal padre, aveva la faccia stravolta, io reagii come se mi avessero informato dell'assassinio del bassista della cover band lituana dei Matia Bazar. 



Marvin Gaye, Londra 1981

In effetti quel nome non mi era nuovo, mi ricordai dopo di un video che girava su Videomusic (anni '80, giusto?) che si chiamava "Sexual Healing". La mia conoscenza di uno dei più grand cantanti soul si limitava a quello, ma a 15 anni, con un padre che si era fermato a Frank Sinatra e Nat King Cole, saltando direttamente agli Inti-Illimani, potevo essere scusato.

Mio "Zio" arrivò a recuperarla qualche mese dopo, si era portato un'altra tipa, ovviamente, la trovò più tranquilla e ingrassata, a quanto pare smettere di usare cocaina porta anche a questo.

Partì con lui e io finalmente mi riappropriai della mia cameretta.

Quell'estate iniziai ad uscire con degli amici di mia sorella, tutti più grandi di me. Una sera andammo ad una festa Reggae ai Giardini della Biennale, i Pitura Freska non erano ancora esplosi, e non conoscevo nessun altro, al di fuori di me, con la passione per quella musica, perciò ogni occasione per ascoltarla andava presa al volo.

Eravamo appena arrivati quando dalle casse partì "Sexual Healing" versione reggae, di tale Eddie Lovette, al solito feci lo sborone e raccontai a tutti che il vero autore, Marvin Gaye era stato ucciso dal padre pochi mesi prima, mi zittirono con una birra, e fu solo l'inizio.
Estate, caldo, reggae, a metà serata io e uno dei miei amici avevamo già immolato una decina di lattine sull'altare di Bob Marley, nel campionato delle lager viaggiavamo verso una salvezza tranquilla.

La musica finisce, è ormai mezzanotte, quando da un angolo scuro del parco ci viene incontro un tipo, il lampione alle sue spalle crea un effetto “Esorcista” inquietante. Dalla camminata si intuisce che nel campionato delle lager lui sta lottando sicuramente per un posto in Champions. 
Con lo sguardo non proprio da "eye of the tiger" ci chiede in veneziano se abbiamo una biro da prestargli. Il mio amico, che a mia insaputa aveva evidentemente abbandonato i bassi fondi della classifica e ormai puntava chiaramente ad un posto in UEFA, alza una lattina di birra e gli risponde “No, ma se ti vol go na bira”.

Il tipo emerso dal buio si blocca, vedo che dietro quello sguardo annebbiato qualcosa si muove, poi un lampo, ha un sussulto, afferra la lattina. Mentre se ne va si volta e con gli ultimi 32 MB di memoria libera del suo cervello ci dice una cosa che ci lascia impietriti:
“Grazie, ogni arma è utile per un grande guerriero”, e ritorna nel buio, da dove se ne era venuto.

Torniamo a casa, stanchi ma felici, con una perla di saggezza in più da dividere con i posteri.

Mia madre non mi aveva imposto un coprifuoco, l'unica cosa che dovevo fare era quella di avvisarla una vola arrivata a casa.

Con le luci spente mi avvicino al suo lato del letto, puzzo come un tavolo dell'Oktoberfest, le dico che sono arrivato, lei nel dormiveglia mi chiede se ho bevuto della birra.
"Solamente una lattina mamma. Buonanotte".

Mi stendo sul letto, salpo per il Mare del Sonno avvolto nella nebbia dell'alcool, e mentre mi allontano sempre di più, un dubbio mi assale. 

Come diavolo avrà fatto quel tipo a scrivere con una lattina di Forst.




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