lunedì 2 giugno 2014

Musica # 14 - Little Bird

Where's my pretty bird
He mut have flown away
If I keep singing
He'll come back someday

Little Bird - The Beach Boys

Steve è l'unica persona con la quale ho parlato ad avere una pagina su Wikipedia in Inglese, certo, una piccola pagina, ma è pur sempre qualcosa.
Cresciuto a New York, nei primi anni '60 si era trasferito poco più che adolescente in California per rincorrere il suo sogno "Beat". Aveva perciò iniziato a frequentare tutti i posti più freakettoni di Los Angeles mentre si laureava in letteratura Inglese alla UCLA.


Steve nel suo periodo Beat
Si era fatto un certo nome come poeta, al punto che fu notato dai fratelli Wilson (i tipi dei Beach Boys) con i quali iniziò a collaborare.
Due delle sue poesie piacquero così tanto che Brian Wilson ci costruì due brani, non certo tra i loro più famosi, ma sicuramente tra i più interessanti: "Be Still" and "Little bird", che finirono in "Friends", il disco più spirituale dei Beach Boys. L'album da molti fu considerato il tentativo da parte loro di diventare adulti, di creare un'opera "alta", per avvicinarsi ai Beatles, purtroppo fu anche il loro più grande flop (anche se successivamente rivalutato dalla critica), evidentemente il loro pubblico era rimasto fermo a "Surfin' USA" e non li seguì nella svolta hippie/filosofica che i Beach Boys avevano deciso di prendere grazie anche all'influenza di Steve.

Quando lo conobbi erano passati quasi trent'anni da quel disco, il periodo Beat era finito e Steve aveva attraversato gli irrrequeti anni '70 e l'orgia degli anni '80 Reaganiani quasi indenne. Continuava a ricevere le royalties di quei brani (ma anche di altri, perché aveva poi scritto per altri musicisti), per arrotondare aveva affittato la sua casa, mente lui viveva nella dependance di una villa di un ricco della zona, per il quale "curava" l'enorme biblioteca privata.

Da anni orbitava attorno al ristorante dove lavoravo, era una specie di giullare della corte dei miracoli che mio zio si era costruito. Componeva rime su richiesta e intratteneva (disturbando) gli ospiti VIP del ristorante, per lui c'era sempre un piatto di pasta e un bicchiere di vino, ad essere onesti per quel trattamento oggi farei ben di peggio, visto che quando l'incontrai la prima volta aveva più o meno la mia età di adesso, e non è che me la stia cavando poi così tanto meglio.

Ma Steve era un personaggio che faceva parte della mitologia della "West Coast" degli anni sessanta, perciò tutti lo sopportavano, in fondo senza nemmeno troppa fatica. 
Non aveva mai perso di vista la fauna fatta di produttori, parolieri e compositore dello Show Business di Hollywood e aveva un'agendina telefonica seconda solamente a quella di Gianni Minà.

Passai un sacco di serate e di pranzi domenicali (ai quali puntualmente si autoinvitava) in sua compagnia, era una persona splendida, dolcissima, per la quale "peace and love" era realmete un modo di vivere.
Poi partii per l'Italia e non lo sentii più. 


Foto di Steve nel ristorante (in sotto-sotto fondo il divano letto)

A distanza di anni, un giorno squillò il telefono di casa, era Steve, mi disse che era in Italia e gli avrebbe fatto piacere incontrarmi, gli risposi che non c'era alcun problema e gli chiesi dove fosse. Quando sentii "Venezia - Santa Lucia" capii che ero nei guai.

Si piazzò nel mio divano letto per circa una settimana, lo portai in giro per le calli e i campielli, era come camminare con un bambino, ogni 10 metri si fermava a guardare un angolo di una casa, oppure un gatto su di una barca, senza mai smettere di parlare.

Una pomeriggio tornò a casa con un disco degli "Odissey", una oscura band funky soul degli anni '70 per la quale aveva scritto delle canzoni. Ascoltammo il pezzo inserito in quel CD, mi fece un autografo con dedica sulla copertina e lo misi tra la mia collezione, dove ancora sta, intoccato da quella volta.

Quella sera, mentre bevevamo del te verde seduto in divano parlammo di musica, avevo appena intervistato Morricone (si, quella storia la racconto un'altra volta) così il discorso andò subito sui film di Sergio Leone. Allora lui disse, tutto contento, che era molto amico di Rod Steiger, e per sgomberare ogni dubbio tirò fuori la sua leggendaria agendina, prese il telefono e chiamò, con la sua carta internazionale, a casa dell'attore.
Ci parlò per un minuto, gli disse che era in Italia, a Venezia, a casa di un suo caro amico, poi mi passò la cornetta.

Furono i due minuti più surreali della mia vita, me ne stavo a Cannaregio, Venezia, seduto in divano, a rompere i coglioni ad una vecchia gloria di Hollywood appena svegliata. Il tipo fu molto gentile, conosceva Steve abbastanza per capire la situazione, mi chiese come stavo, gli dissi che andava tutto bene, nonostante Steve. Lui fece esplodere una risata che assomigliava più ad un ruggito, poi disse: "It has to be a great day, if a poet drinks a cup of tea with you on your sofa". Come dargli torto.

Le ultime notizie che ho su Steve dicono che è riuscito finalmente a coronare un suo sogno, infatti, un paio di anni fa, la "light in the attic", una casa discografica americana specializzata in ristampe di dischi del passato (sono i tipi di Rodriguez, per intendersi) ha deciso di stampare il primo album interamente di Steve, registrato a fine anni '60 nello studio di Brian Wilson, che sembrava andato perduto per sempre.

Il mio numero è lo stesso di allora, così come il divano, speriamo si ricordi di portarne una copia.

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